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Adesso vi spiego perché, secondo me, il Friuli è una terra incredibile e meravigliosa.
Prendiamo la Val Zemola. Questi paesaggi ancestrali, queste montagne immobili e potenti, questo mondo sospeso tra le nubi e il fischio dei camosci, sono solo mille metri più in alto delle nostre automobili, a sole due ore dal mondo contemporaneo, dai cantieri, dai camion che corrono sulla statale 251, dalla pompa di benzina, dall'antenna dei telefonini. Una contiguità così irreale da farti credere di aver varcato per sbaglio la soglia di una dimensione parallela.
La Palazza è una immensa prateria quasi verticale. Da agosto a novembre è un mare d'erba bruciato dal sole. In inverno è un soffice nevaio, in primavera si trasforma in un gigantesco giardino botanico, puntinato di genziane, di stelle alpine, di anemoni, rododendri, ginepri e gigli rossi. Il silenzio è rotto dal fischio dei camosci, che qui, nel cuore del Parco delle Dolomiti Friulane, prosperano insieme a cervi, stambecchi, marmotte. E' l'epicentro di un mondo incantato, che inizia imboccando la leggendaria val Zemola, alle spalle del paese di Erto, sulla destra orografica del torrente Vajont, del quale il torrente Zemola è affluente.
La vallata, un tempo frequentata da malgari, cacciatori e contrabbandieri, rappresentava una strada alternativa e poco battuta che univa la pianura friulana al Cadore e alla valle del Piave. Un “passaggio segreto”, praticato solo dagli abitanti di queste montagne, soprattutto ertani. Al cadere dell'Ottocento iniziò ad essere frequentata anche dai primi pionieri dell'alpinismo moderno, perlopiù tedeschi, svizzeri ed austriaci, attirati dal fascino selvaggio e ancestrale delle sue montagne. Fra tutte il mitico Duranno, che dalla Valcellina spicca per il suo caratteristico profilo affilato, che ricorda il becco di un rapace, e dalla Val Zemola ha la stazza del classico massiccio dolomitico. Dalla sua spalla e dalla forcella partono avventurose vie alpinistiche, vero banco di prova e rituale iniziatico anche per i climbers di oggi.
La Val Zemola inizia come una stretta gola che poi si allarga in un catino di ghiaie. In novembre da il meglio di sé, con i faggi bruniti, i larici che si infiammano di giallo e gli abeti verdi e lucidi. Negli anni Cinquanta fu costruito il primo segmento della rotabile, poi completata nella seconda metà dei Settanta. Una rasoiata sul fianco della montagna, sospesa su uno strapiombo vertiginoso, che nel primo tratto è di circa trecento metri. Su quel pauroso baratro si concentrano tantissime leggende popolari, che la penna dello scultore e scrittore Mauro Corona ha tradotto in capitoli dei suoi libri. La strada arriva fino alla Casera Mela, oggi trasformata in un apprezzato luogo di ristoro. La valle negli ultimi tempi è stata protagonista di una vera e propria riscoperta, anche se mantiene le caratteristiche di isolamento e di asprezza, che tengono lontano il turismo di massa.
Proprio ai piedi della Palazza ( o Palatha in ertano) c'è il rifugio Cava Buscada, di Gianpietro e Roberta Corona, realizzato restaurando il dormitorio dei cavatori dell'antica cava di marmo rosso del monte Buscada.
Nei pressi ci sono ancora i vecchi argani e altri strumenti usurati, appartenuti alla cava, anch'essa ricorrente nei racconti di Mauro Corona, che vi passò in gioventù lunghe estati di lavoro. Da lì si può scollinare oltre il monte Buscada, ammirando a destra la Palazza in tutta la sua vastità, mentre nugoli di camosci si spostano da una parte all'altra della sterminata prateria. Sul crinale del Buscada l'occhio può cadere sul sottostante Cadore e sulla valle del Piave. Oppure ammirare lo spettacolare anfiteatro dolomitico di cime famose come il Pelmo, il Civetta e l'Antelao.
Di fronte, sulla sinistra c'è la parete liscia a strapiombante del monte Borgà. Le due montagne sono divise da una stretta intercapedine, una gola nota come valòn di Buscada . Qui si apre una gigantesca nicchia, con una maestosa volta sorretta da una sola colonna, che sembra stata disegnata da un grande architetto del Rinascimento. In quella grotta bivaccarono generazioni e generazioni di cacciatori e anche mandrie immense di camosci. Volendo, per ripidi e pericolosi sentieri, si può scendere il valòn e risalire il Borgà, fino ai Libri di San Daniele, altra meraviglia di queste montagne: un teorema di lastroni di roccia impilati uno sopra all'altro come colonne di libri.