Berlino - Nefertiti e giardini d’acacie

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28 күн бұрын

C’era una foto che girava, la foto di un cortile: in mezzo, un albero d’acacie, circondato da mura che sforavano quei confini di carta. Era caduta a un uomo di cui non seppi mai il nome, che se n’era andato di tutta fretta stringendo per mano una ragazza. All’epoca ero considerata una città viva, certo, ma gli architetti storcevano un po’ il naso, affermando come Berlino avesse bisogno di luce e aria. Gli operai non riescono a respirare, dicevano. Sotto quell’albero d’acacie, fuori dalla foto, c’erano anche dei cespugli, fioriti, e tra i cespugli riposava una scatola di cioccolatini. Indizio d’un amore?
Tra gli architetti se ne fece avanti uno in particolare, tale Bruno Taut, e si mise al lavoro per creare in me, Berlino, un po’ di quello spazio, libera sintesi clorofilliana tra ferro e calcestruzzo. Diede origine così a Falkenberg, giù a sud-est, soprannominata poi Tuschkastensiedlung, un quartiere che sfiorava l’autarchia; diceva, Taut, di essersi ispirato alle isole britanniche, e infatti il suo sguardo non incrociava mai gli occhi dell’interlocutore, ma li sorvolava, sempre un po’ più in alto. Colori audaci, stile quasi espressionista, spazi verdi, fertili comunità, la chiamavano una Città Giardino. 1500 appartamenti dove, già all’inizio, finì per perdersi quella scatola tutta rossa piena di dolcezza. Videro che Taut ci sapeva fare, e in più era un architetto, e quindi, chi più chi meno, lo spirito tendeva alla megalomania. E chi lo fermava più? Gliene fecero costruire altri 2000 in un’altra Città Giardino, chiamata Hufeisensiedlung, l’insediamento a ferro di cavallo. Lascio alla vostra immaginazione le forme. Poi si guardarono negli occhi, Taut e il suo capo, e capirono di aver concepito il nuovo standard per le abitazioni moderne. Ognuna di loro aveva pure il bagno e il soggiorno!
All’inizio io, Berlino, mi ritrovai spaesata, ma credo che sia normale. Uno scrittore francese dai capelli lunghi e radi, anni dopo, avrebbe affermato che siamo sempre in balia di un evento sconcertante, questo finché non ne arriva un altro a sostituirlo. E dopo la prima grande guerra eccoci qua.
Berlino cambia, Berlino insegna, Berlino mostra, così titolavano i grandi giornali di design. E io mi compiacevo di questa nuova ondata d’attenzioni.
Ne costruirono altri quattro di complessi residenziali della modernitá, tutti diventati patrimonio UNESCO poi, stavolta a nord, anche se più vicini al centro. Il Schillerpark-Siedlung, sempre di Taut, con asili, bagni in comune e supermercato; il complesso Carl Legien, oasi verde dalle facciate colorate; la Città Bianca nel quartiere Reinickendorf, inconfondibile nelle sue candide facciate che si susseguono uno dopo l’altra; infine, il grande complesso residenziale Siemensstadt, figlio di architetti progressisti del movimento Der Ring, dove la luce la faceva da protagonista.
Mi ricordai, solo in seguito, di aver già visto l’uomo senza nome in un crepuscolo settembrino, mentre passeggiava distinto, i baffi chiari ben tagliati e in ordine; era tornato da me, Berlino, da qualche settimana, dopo aver visto una Parigi distrutta e aver gettato il fucile nella Senna. Accudiva tra le mani una scatola rossa, infiocchettata, e si dirigeva verso un altro patrimonio UNESCO di cui posso vantarmi, quell’isola dei musei circondata dalle acque dello Sprea. In quelle settimane la passeggiata sembrava esser diventata un rito quasi giornaliero, dove l’uomo si ritrovava a perdere la cognizione del tempo contemplando il viso di Nefertiti, così simmetrico, elegante, era quasi tentato di accarezzarle il collo, o di lasciarle addirittura quella scatola, ipnotizzato, un goffo tentativo d’omaggio tra le mura del Neues Museum. Questa volta in particolare aveva del tempo da perdere, così fece il giro di tutta l’isola, dall’Altes Museum, affacciato sul Lustgarten, opera del grande architetto Schinkel, fino all’Alte Nationalgalerie di stampo greco; andò poi ad ammirare un Bernini o forse un Canova al Bode Museum, e finì, stanco, sedendosi sui gradini del Museo di Pergamo, dove si addormentò circondato dalle rappresentazioni di battaglie tra dei e giganti.
Quanta nostalgia, Berlino, mi confessava sottovoce. Un viaggiatore come altri, uno dei tanti che mi capitava di osservare, ma in lui vedevo uno sguardo diverso.
Quel pomeriggio era stato alla Spreewald, la Venezia primordiale. Mille chilometri di fiume, dove i motori non esistono e ci si muove su barche, tra gru, libellule, lontre e anfibi. Aveva remato molto.
E alla vista di lui che si allontana mentre fugge, preferisco ricordarlo così quello sconosciuto, le palpebre unite e la bocca socchiusa, una scatola rossa in mano, sognando un viso tanto desiderato tra i giardini di acacie e i cespugli fioriti, la foto di un vecchio palazzo nel taschino, un indirizzo scarabocchiato di fretta da una calligrafia femminile sul retro, insieme a una dedica di poche parole e grandi richieste.
Berlino si trova all'interno dell'ITINERARIO ATTIVO presente sul sito ufficia...

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