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@antropologo a domicilio
La Storia è più saggia di noi. Ma non quella delle guerre, delle invasioni, dei saccheggi, bensì la storia profonda, sotterranea, quella della vita quotidiana della gente comune. Come noi.
È la storia degli incontri tra persone di diverse culture che trovandosi a vivere negli stessi luoghi e che dovevano arrivare a una qualche forma di conciliazione. Non potevano farsi guerra tutti i giorni. Per questo è una storia inclusiva.
In tale storia profonda, che è universale, c’è anche il filone della storia musicale, e in particolare qui del pezzo di mondo che è il Mediterraneo. Attraversandolo in lungo e in largo, singoli, gruppi, talvolta popolazioni intere arrivavano in nuovi luoghi e portavano tra le altre cose nuovi ritmi, nuove melodie, nuove modalità espressive, oltre che nuovi strumenti.
E allora geniali (e anonimi) artisti (locali o sopraggiunti), li intrecciavano con i propri. L’originalità - l’”autenticità” - stava nel produrre nuove forme musicali che comprendevano il vecchio locale e il nuovo arrivato da lontano.
Così nasceva la “tradizione”. E questa è la storia musicale del Mediterraneo.
Nei due canti qui riportati, registrati negli anni Settanta a San Marzano sul Sarno, ne abbiamo un esempio. Non occorre essere musicologi per avvertire la stretta parentela dell’uso della voce che ascoltiamo, con quello di altre aree del Mediterraneo, sia sponda nord che Sud, sia mondo latino che mondo arabo.
I musicologi sapranno fare un’analisi accurata, un ascoltatore “normale” quale sono io è come se vedesse una bocca che si apre e si chiude in un modo caratteristico, quasi masticando l’aria e liberando un suono riconoscibile tra mille.
Lo strumento che si sente sul fondo è uno scacciapensieri. Che localmente viene chiamato “tromba degli zingari”. A proposito di intrecci culturali.
Per ascoltare “veramente” e godere di queste voci bisogna “fermarsi” e liberare spazio dentro di sé, quasi scavare un vuoto. La registrazione dura solo cinque minuti: quelle voci verranno fuori e occuperanno lo spazio svuotato (e lento) e lo popoleranno della loro bellezza.
Questi frammenti fanno parte di un gruppo di registrazioni effettuate in occasione di visite che negli anni Settanta il Teatrogruppo di Salerno (un gruppo di giovani studenti e qualche professionista di città) faceva a quei braccianti e viceversa. Quella tra le altre cose fu un epoca in cui cadevano le barriere, i ghetti, gli esclusivismi. Anzi si combatteva per affratellarsi e sentirsi solidali in una lotta per un obiettivo comune: l’emancipazione di tutta l’umanità, non solo dei Noi di turno. La sciagurata deriva del terrorismo poi bruciò tutto.
“Sono fronne”, mi dice Biagino De Prisco, formidabile cantatore e scrupoloso raccoglitore di tradizioni di San Marzano, anche se non sono aperte dal tradizionale verso “fronn’e limone…”. Grazie Biagino per le tue preziose informazioni.
Le voci
Il primo canto: Peppe Langella. Il secondo: zi’ Tore
(Nei canti popolari il cantatore, la cantatrice possono immedesimarsi in protagonisti del canto lontani da loro stessi. Per esempio nel primo canto la voce di robusto bracciante si presta a esprimere il tenero sentimento di una ragazza innamorata).