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Immediatamente si individuano, su un palo della luce, i segni bianco/rossi che accompagneranno per tutto il percorso. Seguendoli si inizia a camminare su una stradina in discesa, quindi si raggiunge e si attraversa un piccolo ponte. Si comincia a salire. Poco dopo sul lato destro si intravede una palizzata che segue l’andamento di un sentierino in discesa. È d’obbligo fare una piccola deviazione per andare ad ammirare la piccola cascata della località di Parabocio alimentata dal deflusso carsico. Si torna indietro e si riprende il sentiero sempre salendo. Si incontra andando molto avanti un bivio. Un sentiero in discesa porta alla fonte Nocchia e alla Rocchetta. Era questa la fonte che alimentava Trebula Suffenas e nel Medioevo la Mola della Rocca (mulino a servizio di Civitas Noae, San Valerio, San Magno) posto lungo il fosso denominato Vae e Simone.
La rocchetta o Rocca de Ilice (ilex, leccio) fu costruita dopo il Mille dai monaci sublacensi a difesa dei loro possedimenti montani e della “Città Nuova” con l’annessa chiesa di S. Giovanni, un insediamento sorto sulle rovine di Trebula Suffenas. Decadde nel XVI sec. quando Ciciliano passò sotto i Theodoli.
Tornando indietro al predetto bivio si riprende la continuazione del sentiero dei pellegrini. Si arriva quindi alla fonte Morrella (780 m) da morra un grosso sasso piatto (un caratteristico abbeveratoio) su cui, secondo una leggenda locale (molto inattendibile!), sarebbero rimaste impresse le zampe della mula inginocchiatasi per bere, condotta da San Giuseppe, il quale stava dirigendosi alla Mentorella con Maria e il Piccolo Gesù. Nei pressi della fonte della Morrella, chiamata in passato Fons ilicis, sorgeva il Castrum Morellae, eretto su tre speroni rocciosi (murruni) per proteggere i pascoli alti della montagna che erano oggetto di contesa tra i pastori di Ciciliano e quelli di Poli-Guadagnolo e tra i signori di Poli e l’Abbazia di Subiaco.
Il castrum sarebbe stato realizzato intorno al XIII sec. Non ebbe una lunga vita poiché ben presto passò in possesso ai monaci sublacensi che gà possedevano la vicina Rocchetta. Si continua a camminare in un continuo leggero saliscendi attraversando gli alvei ormai asciutti d’antichi torrenti. Il bellissimo sentiero procede a mezza costa tagliando i bellissimi boschi di Monte Cerella e Monte Vincenzo. Si raggiunge quindi prima l’Ara di Morricone e poi l’Ara della Croce.
L’ara o aia non è altro che un pianoro di terra battuta molto esposto ai venti. In passato qui avveniva la pulitura del grano: i buoi, girando in circolo, calpestavano le raccolte e mature spighe di grano e subito dopo con pale di legno i contadini disperdevano al vento palate del trito per separare la pula (leggera e quindi portata via dal vento) dai chicchi di grano che ricadevano a terra essendo più pesanti. Secondo una tradizione locale proprio nell’Ara della Croce sarebbe avvenuto l’incontro di Placido col cervo (la versione più attendibile è invece quella che pone il luogo dell’avvistamento lì dove è poi sorto il Santuario della Mentorella). Costui era un ufficiale romano di Traiano che, durante una battuta di caccia, vide tra le corna di un cervo apparire una croce. Si convertì e prese il nome di Eustachio; fu martirizzato sotto Adriano.
I segni bianco/rossi conducono sempre in salita fino al bivio col tratto finale del “sentiero Wojtyla” che porta al complesso del Santuario della Mentorella del XII-XIII secolo. È questo il più antico Santuario mariano d’Italia. Si erge su uno sperone (1020 m) della sub-catena dei monti Caprini (la carta regionale dei Lazio li vede inseriti tra i biotopi da salvaguardare proprio per le eccezionali varietà botaniche presenti). È a questo punto che, come per magia, si apre alla vista un vasto panorama sulla valle del Giovenzano, affluente dell’Aniene. Dopo una doverosa sosta al Santuario, si riprende a salire seguendo il sentiero posto sul piazzale antistante il cancello del Santuario, raggiungendo il vicino e soprastante Monte Cerella (1202 m) e quindi Monte Guadagnolo (1218 m). È ora di consumare il pranzo al sacco!