Рет қаралды 37,551
Seguimi su Instagram: / pietrotoresin72
La diga del Vajont è una diga progettata dal 1926 al 1958 dall'ingegnere Carlo Semenza, e successivamente costruita tra il 1957 e il 1960 nel comune di Erto e Casso, in provincia di Pordenone, lungo il corso del torrente Vajont. Lega tristemente il suo nome al disastro del Vajont, avvenuto la sera del 9 ottobre 1963, e da allora non è più utilizzata per la produzione di energia elettrica.
Di tipo a doppio arco, lo sbarramento è alto 261,60 m e nel 2020, a quasi 61 anni dalla costruzione, è ancora la settima diga più alta del mondo (la quinta ad arco), con un volume di 360 000 m³ e con un bacino di 168,715 milioni di metri cubi. All'epoca della sua costruzione (1957-1960) era la diga più alta al mondo. Fu superata dalla Grande Dixence nel 1961.
Lo scopo della diga era di fungere da serbatoio idrico di regolazione stagionale per le acque del fiume Piave, del torrente Maè e del torrente Boite, che precedentemente andavano direttamente al bacino della Val Gallina, che alimentava la grande centrale di Soverzene. Le acque, sottratte al loro corso naturale, venivano così incanalate dalla diga di Pieve di Cadore (fiume Piave), da quella di Pontesei (torrente Maè) e da quella di Valle di Cadore (torrente Boite) al bacino del Vajont tramite chilometri di tubazioni in cemento armato vibrato e spettacolari ponti-tubo.
In questo sistema di "vasi comunicanti", le differenze di quota tra bacino e bacino venivano usate per produrre energia tramite piccole centrali idroelettriche, come quella del Colombèr, ricavata in caverna ai piedi della diga del Vajont, e quella della Gardona, nei pressi di Castellavazzo (proveniente dal bacino di Pontesei, in Val di Zoldo). Le acque scaricate dalla centrale di Soverzene venivano poi condotte, in parte al Piave, e il restante tramite un canale artificiale, al lago di Santa Croce, quindi alle centrali del Fadalto, nella Val Lapisina e alle tre finali: nei comuni di Cappella Maggiore, Caneva e Sacile.
Il sistema, noto come "Grande Vajont", era concepito per sfruttare al massimo tutte le acque ed i salti disponibili del fiume Piave e dei suoi affluenti, di cui il bacino del Vajont era il cuore. Esso venne presto compromesso prima dalla frana del lago di Pontesei e poi dalla frana che causò il disastro del Vajont. Il bacino della diga viene mantenuto quasi completamente vuoto per motivi di sicurezza.
Il disastro del Vajont si verificò il 9 ottobre 1963. Una frana si staccò dal monte Toc e precipitò nel bacino provocando un'onda che superò la diga e distrusse il paese di Longarone causando 2 000 vittime. La variazione della pressione dell'acqua sul versante del monte Toc fu la causa del disastro.
La diga resse all'impatto e alle sollecitazioni che furono quasi dieci volte superiori a quelle prevedibili durante il normale esercizio, dimostrazione quindi dell'eccellente professionalità di chi ha progettato ed eseguito l'opera della diga, e realizzazione a regola d'arte da parte dell'impresa costruttrice. Grazie al lavoro svolto dall'ISMES (Istituto Sperimentale Modelli e Strutture) di Bergamo, su un modello alto 7,6 metri in scala 1:35 con 176 martinetti idraulici, si simulava la spinta idrostatica dell'acqua nella diga e sulle imposte. I risultati delle varie prove, permisero di verificare per simulazione, in modo preciso, la resistenza della diga a vari sforzi di sollecitazione, fino alla rottura del modello. Tuttavia l'onda provocata dalla frana la scavalcò riversandosi nella valle del Piave.
La diga quindi non crollò ma riportò danni nella parte superiore; la violenza dell'acqua strappò via il ponte carrabile soprastante gli scivoli delle sedici luci sfioranti. Furono inoltre spazzate via la passerella sospesa di servizio, la palazzina a due piani dei comandi centralizzati, la stazione di trasformazione della sottostante centrale idroelettrica del Colomber, i numerosi camminamenti posti sul paramento di valle della diga, la casa del guardiano, le ultime baracche del cantiere, il palazzo degli uffici, oltreché il ponte canale, e il ponte stradale posti poco più a valle.
Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti e processi, furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell'opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico.