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“I giorni passano lenti se li conti uno per volta”: inizia così l’ultima canzone di Jovanotti, uscita pochi giorni fa.
L’8 maggio del 2008 io avevo otto anni, era un giovedì e mia mamma mi portava a lezione di nuoto.
Durante il (breve) tragitto il disco che sicuramente stavamo ascoltando in auto era solo uno: “Safari” di Jovanotti.
“Safari” è stato uno dei pochi album che ho letteralmente consumato a furia di riascoltarlo.
Sul serio…l’avrò sentito almeno un milione di volte, o almeno fino a quando il CD (masterizzato) è andato a fare in culo.
Per la felicità di Jovanotti (e della SIAE) alla fine abbiamo dovuto ricomprarlo, stavolta originale.
Anche perché, almeno secondo il mio modesto parere, è un disco da avere.
Anzi è IL DISCO di Jovanotti.
È quello con “A te”, “Fango” e, appunto, “Safari” (che da sola varrebbe il prezzo del CD, solo per la frase: “la Terra vista dallo spazio è una palla azzurra e silenziosa, ma se ci vivi ti rendi conto che è tutta un’altra cosa”, geniale.)
E poi c’è questa perla dimenticata nel repertorio di Lorenzo, che nessuno vi dirà mai: “Ah sì! Questa è la mia canzone preferita di Jovanotti!” e men che meno troverete nelle compilation da Autogrill.
“Questa è una canzone di tanti anni fa, che sembra scritta ora, non mi ricordo neanche più come fa.”
“Dove ho visto te” è quel raro esempio di canzone che, per le atmosfere che crea grazie alla combinazione tra testo e musica, diventa paragonabile ad un piccolo quadro.
“The year of the cat” di Al Stewart ne è un esempio, “What it is” di Mark Knopfler ne è un altro.
Degli acquerelli in musica, in pratica.
E oggi, che è la festa della mamma, voglio dedicare alla mia questo piccolo quadro musicale, in ricordo di quando io avevo otto anni, lei mi portava a lezione di nuoto e insieme ascoltavamo “Safari” di Jovanotti.
Succedeva quattordici anni fa.
QUATTORDICI.
Forse i giorni non passano poi così lenti…
Vai te a spiegarglielo a Jovanotti.