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Il discorso di Starace alla LUISS, da questo punto di vista, non potrebbe essere più illuminante: contiene le principali forme-pensiero anticoscienza: divide et impera, il fine che giustifica i mezzi, il disprezzo dei modi, delle persone, dei sentimenti, l’utilizzo della paura come forma di coercizione e, non ultima, la mancanza di senso; un cambiamento che sia un vero bene deve migliorare le cose per tutti gli “stakeholders”, ovvero per tutti quelli che hanno a che vedere con l’organizzazione, dai dirigenti agli impiegati, dagli azionisti ai clienti. Starace invece ci descrive un cambiamento dispotico, in cui l’unico bene preso in considerazione è quello dell’amministratore delegato. Che naturalmente è stato scelto per fare il bene di qualcun’altro. Che oltre certi livelli spesso è il male di tutti.
Per avere un’idea di come le forme-pensiero applicate da Starace siano letali per la società, e per poter cogliere uno sprazzo del vero mestiere dei poteri oscuri che piazzano gente come lui nei gangli della società, basta guardare la recentissima storia politica del paese.
Prendiamo ad esempio l’ascesa di Renzi ed esaminiamola alla luce della tecnica descritta da Starace:
1) BASTA UN MANIPOLO DI “CAMBIATORI”
Non servono masse o maggioranze. Basta un gruppetto ben deciso.
2) VANNO INDIVIDUATI I GANGLI DI CONTROLLO NELL’ORGANIZZAZIONE CHE SI VUOLE CAMBIARE.
E’ ovvio che il PD sia uno dei gangli principali del teatrino politico in Italia. All’epoca era composto da due gruppi principali: gli ex-PC e dalla sinistra democristiana, con gli ex-PC al timone per questione storico-strutturale e ben trincerati grazie ad una lunga serie di compromessi e di ricatti incrociati.
3) DISTRUGGERE I GANGLI INFILTRANDO “CAMBIATORI” A CUI VA DATA UNA VISIBILITA’ SPROPORZIONATA AL LORO STATUS “AZIENDALE”, CREANDO MALESSERE.
Di punto in bianco un giovane sindaco di Firenze di cui nessuno aveva mai sentito parlare, viene invitato in tutti i talk show politici della nazione ed additato da tutti i media nazional-popolari come “il rottamatore”, l’uomo nuovo. Vespa e compagnia bella sono ben contenti di invitare questo signor nessuno che spara a zero contro i “vecchi”, anche del suo stesso partito. Non dice nulla che non sia demagogia, e non si vedono motivi per cui debba avere tanta visibilità e tanto servilismo. Nel PD in molti si chiedono come mai, magari dopo anni di fedele lavoro nell’apparato, vengano scavalcati da questo “pischello”, e se la prendono con i loro capi storici. Altri invece si rendono subito conto che c’è un potere forte che sta facendo la guerra a D’Alema&friends, e cambiano casacca più o meno apertamente. I capi partito vengono così incalzati internamente ed esternamente dagli altri partiti. Ecco che il “ganglio” è in pieno malessere.
4) APPENA QUESTO MALESSERE DIVENTA SUFFICIENTEMENTE MANIFESTO, SI COLPISCONO LE PERSONE OPPOSTE AL CAMBIAMENTO. NELLA MANIERA PIU’ PLATEALE POSSIBILE.
Il PD vince le elezioni. Internamente, quelli che hanno cambiato casacca rendono impossibili a Bersani accordi con altre fazioni democristiane. Esternamente i grillini si danno una “inspiegabile” zappata sui piedi, rifiutandosi di formare un governo di coalizione. Il PD fa il congresso, il “malessere” si esprime e vince Renzi. D’Alema&Friends vengono immediatamente spernacchiati su tutti i media ed accantonati. I loro uomini fedeli rimossi platealmente dagli incarichi e sostituiti da una pletora di yes-men e yes-women. Gli ex-dc di tutti i colori ritrovano d’incanto l’armonia pentapartitica e Renzi si ritrova presidente del consiglio di un “impensabile” governissimo fatto di democristiani el PD e democristiani di Forza Italia. Chi si azzarda a criticare il premier, le politiche di destra, gli appoggi a petrolieri e finanza viene platealmente minacciato di essere buttato fuori dal partito.
Ed ecco come la modalità di cambiamento descritta da Starace è stata ultilizzata per cambiare il PD.
Ovviamente non si tratta dell’unico caso. Questa modalità viene utilizzata costantemente in tutto il teatrino della politica. Ogni partito è vittima di questa modalità. Anche quei partiti che non amano essere chiamati partiti. Per vederlo basta applicare i quattro punti sopraelencati alle altre forze politiche. Nei 5-stelle è addirittura lampante.
Enrico Carotenuto