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Il mare
di Gualtiero Lelli
Il mare non mi vuole.
Lo sento,
come si intuisce su di sé
uno sguardo carico di disprezzo
lanciato di bieco da qualcuno
che ci detesta.
In questo carnaio immondo,
in questa invivibile bolgia,
io sono uno dei tanti,
una semplice cellula infesta
di questo enorme parassita
che è la mia specie
sconsiderata.
Il mare ci disdegna,
ma chissà come, chissà perché,
abbiamo questa idea
irragionevole che il mare esista
per prestarci conforto,
e abbia una funzione terapeutica
nelle nostre inutili vite dismesse.
Non è così
che stanno veramente le cose.
Io sento che il mare ci odia
e ci considera alla stregua
di un brutto male,
di una neoformazione,
un cancro recente
da cui non riesce più a guarire,
dal quale non riesce a liberarsi.
Lo avverto,
comprendo tutto il suo disgusto,
per come l'onda si infrange lercia
sulla battigia, e a ogni flusso
e riflusso sembra mormorare
all'uomo seduto all'ombra:
«Mi ripugni,
mi ripugni, bestia».