Per commentare la parte finale del dibattito, mi sento di dire che il fascino di Dostoevskij risiede nell'intima natura contraddittoria dell'uomo. Era un человек molto in sofferenza e io, da ventennale attento lettore, mi sono convinto che lui fosse in realtà un ateo che voleva disperatamente credere in Dio. Una tale dicotomia è all'origine di una specie di frattura interna alla sua anima. Ciò è particolarmente evidente nei grandi romanzi. Ne "L'idiota", il principe Myškin, una sorta di Cristo tornato nel mondo, volendo fare il bene, cercando di amare tutti, finisce col generare egli stesso la tragedia che perderà tutti i protagonisti, lui compreso. Dostoevskij non riesce a dare solidità al bene. Risulta evidente ne "I fratelli Karamazov, specialmente nella prima parte del romanzo. Nel lungo faccia a faccia tra Aleksej e Ivan alla taverna, quando Ivan non nega Dio, ma rifiuta l'ordine voluto da Dio, la Volontà di Dio che consente la sofferenza dell'Innocenza, ossia dei bambini, Alëša non ribatte nulla, non può contrapporre nulla. Com'è possibile? La vita di tutti i giorni ci offre numerosi esempi di credenti che trovano sempre una giustificazione ai misteri di Dio, che, se non sono in vena di chiacchiere, possono sempre tirare fuori dal cilindro la vecchia manfrina dell'imperscrutabilità della divina volontà. Ma Dostoevskij tace. Tace, e sentendo la sua mancanza di fede, cambia le carte in tavola, strattona i personaggi e li snatura perché rispondano al suo impellente bisogno di fede. Così Ivan impazzisce quando Smerdjakov gli confessa di aver ucciso il padre per farlo contento, ("è sempre un piacere parlare con le persone intelligenti", gli aveva detto al momento fatale in cui entrambi avevano implicitamente convenuto che il padre doveva essere ucciso. Smerdjakov uccide per amore di Ivan, perché è il Karamazov che stima di più. Ivan sembra cadere dalle nuvole, nega di aver mai voluto una cosa del genere, eppure in carrozza, dopo quell'implicito accordo, aveva ben capito cosa Smerdjakov si accingeva a fare. Sapeva di avergli dato il permesso. Tuttavia, nello sviluppo ulteriore della vicenda, questa consapevolezza di Ivan svanisce. Dostoevskij la dimentica. Si ha l'impressione che Ivan abbia vissuto di vita propria nella prima parte del romanzo, abbia cioè incarnato la vera anima di Dostoevskij. Ma ecco che nella seconda parte entra in scena il Dostoevskij fustigatore del lato oscuro di sé stesso, ed è a quel punto che il personaggio di Ivan viene snaturato. Dostoevskij si vendica delle sue proprie verità, che aborre, attraverso la punizione inflitta a Ivan. Gli toglie la ragione, quella ragione che aveva osato mettere Dio in discussione. Ivan impazzisce e scompare dal romanzo, la sua voce si spegne, come la sua ragione. Ne "I demoni", al posto della follia, c'è il suicidio. In generale i personaggi maledetti" di Dostoevskij sono raccontati con grande, immensa introspezione, difficile credere che Dostoevskij non esprima pensieri suoi, tanta è la capacità di anatomizzare il sottosuolo, il versante più inquietante e perverso del cuore umano. I personaggi positivi, i "buoni", non hanno mai vera forza, sono comparse. Lo stesso Alëša nel romanzo è quasi solo la spalla dei suoi fratelli, esiste per porgere a loro la parola. Un po' di vita la esprime unicamente nel suo interagire con i bambini. In conclusione, credo che al fondo della malattia di Dostoevskij, nel senso indicato da Tolstoj, che vedeva nei romanzi del "collega" l'opera di un uomo malato, sia proprio nel contrasto tragico e insanabile tra l'impossibilità di credere e il desiderio disperato di credere.