stupendo , splendido! ti ringrazio infinitamente per avermi fatto scoprire questo artista! quel la naturale era sovrumano per quanta qualità nel suono
@sachseco3 жыл бұрын
great last high note!
@belcantopera3 жыл бұрын
... and all the rest before
@umaratabilgi1613 жыл бұрын
Probably the best rendition of this aria...
@adrianoariani22599 жыл бұрын
Not all opera is tragic heroes and heroines, or star-crossed lovers. The comic tradition, especially in 19th century opera, is also strong. Adamo Didur was the greatest of the buffo basses, and he had a very successful international career, making his debut at La Scala in 1903, London in 1905, and the Met in 1908. He was a superb comic actor, a reasonably good musician, and--perhaps unavoidably--a notorious scene-stealer! Here is Dulcamara's famous aria from The Elixir of Love, in which he promises cures of all kinds for old age, mumps, hives, whooping cough, women's aging complexion, unrequited love (hence its importance in this story!) and anything else one can imagine . That's right, ladies and gentlemen. Now, for a limited time--and a limited time only--you too can have this magic elixir, and all for the ridiculously low price of not 30, not 20, but only ONE scudo!
@diegoreviati51663 жыл бұрын
Not exactely. The price is TRE LIRE (all Europe knows that), but to show the peasants his joy for such a warm welcome, Dr. Dulcamara is going to give them ONE SCUDO (an old Italian currency, like fiorino, zecchino, ducato, piastra etc) for free just to try it! I like your comment by the way, very precise and informative. Worth to mention that Didur took also serious roles during his career. The A at the end is beautiful and must have been gigantic if heard live! I love buffo roles and personally I think Dulcamara is a really good and kind hearted man!
@arpeggiandocongrandezza11 жыл бұрын
L'emissione (alla de Reszke senza un suono cavarnoso o bitumato) e la dizione (Didur era polacco oltre tutto) fanno colpo. Incredibile il la naturale alla fine (3:56), è quasi tenorile... mai sentito niente del genere! Il la naturale è già al limite per un baritono, e dà pensiero anche a non pochi tenori... Aggiungo che era in carriera da vent'anni.
@diegoreviati51663 жыл бұрын
Le consiglio vivamente di ascoltare Flagello in "Vieni, la mia vendetta" e "Miei rampolli femminini" e Giorgio Tozzi nel "Prologo" dei Pagliacci. La (A natural) eccezionali! Flagello poi aveva delle agilità all'occorrenza.... grandioso! Ah, e Samuel Ramey sia in "La Calunnia" che nel finale de "Il Viaggio a Reims" si esibisce in due La naturali!
@medusa57898 жыл бұрын
Quando José Mardones s'impose all'attenzione di Giulii Gatti Casazza nel maggio 1917, il Metropolitan godeva della presenza dei bassi più importanti del secolo scorso, Adamo Didur e Fëdor Šaljapin, i quali erano reputati dalla critica e dal pubblico americano degni della celebrità arrisa ai cantanti d'alto rango, come la Melba, Amato, Scotti, Sembrich, Caruso, tutti, all'epoca, nel periodo aureo della loro carriera. Ma per i bassi, il Metropolitan, già da almeno un trentennio aveva avviato un periodo aureo iniziato con Edouard De Retské (fratello non meno celebre del fratello tenore Jean) e Pol Plançon. De Retské, d'origine polacca era, come Plançon, un basso "cantante" di scuola francese : dizione nitidissima, voce sostanzialmente chiara nel medium che scendendo nella gamma non perde vibrazione e sonorità, estrema eleganza di portamento e personalità tale da essere collocata alla stregua d'una celebre primadonna. In questo senso poi, non tanto De Retské, quanto Plançon, impose il proprio modello quasi come "costume", paradigma imprescindibile per tutti i cantanti. D'altronde, nota è la stima che Caruso aveva di Plançon, il quale si ritirò dal Metropolitan nel 1908 in piena era carusiana. Se poi Šaljapin, personalità a sè ma con voce chiara da basso cantante, continuò sul solco tracciato da De Retské e Plançon, Adamo Didur e José Mardones contrapposero, alla vocalità dei bassi di scuola francese, la voce di basso "profondo" tipica dei paesi latini, come Spagna e Italia. A dire il vero, Didur anche era polacco, ma aveva studiato in Italia con un maestro italiano, parlava un italiano irreprensibile e nel Bel Paese trovò i primi successi della carriera. Nonostante fosse cinque anni più giovane di Mardones, al Metropolitan arrivò nove anni prima dello spagnolo, nel 1908 con una storica Aida, prendendo in consegna il testimone lasciatogli da De Retské e Plançon. La sua era certo una voce eccezionale per colore, volume e, in particolare, estensione : mai un basso aveva toccato con tanta facilità il La naturale acuto e per questo, come giustamente fu scritto, suscitando l'invidia dei baritoni. E certo, i mezzi di José Mardones non erano da meno, anzi. In realtà fa sensazione e, per certi versi, scandalo, il fatto che questo soagnolo si sia imposto all'attenzione internazionale solamente verso i quarant'anni di età, nel 1908. Difatti, era nato il 14 agosto del 1868 a Fontecha, nel sud della Spagna, presso un'umile famiglia d'origine basca. Studiò nel suo paese, anche se mi viene da pensare che un cantante con una voce eccezionale e naturalmente impostata come la sua, con lo studio metodico e perseverante avesse trascorso poco tempo. Se la voce si presentava straordinaria per estensione, colore e volume, il cantante non riusciva a svincolarsi dal vortice delle zarzuelas che investe la fase iniziale di carriera, com'è logico, di tutti i cantanti lirici spagnoli. Fleta, Lazàro, Cortis e Conchita Supervia rimasero sempre legati a questo genere d'operetta, anche una volta raggiunta la celebrità nell'ambito del teatro d'opera. Pare che per Mardones, il debutto in un'opera vera e propria avvenne ai primissimi del '900, intorno al 1904, in Bohème, ma il dato potrebbe essere incerto. Nel 1906 Lorenzo Perosi, compositore di musica sacra, si accorse di lui e lo scelse, dopo una felice audizione, come basso principale per il suo Mosè, poema sinfonico-vocale da rappresentarsi al Teatro Real di Madrid. I cointerpreti erano il celebre baritono Ramón Blanchart e il soprano Lina Pasini. Mardones non fu occultato da cotanta presenza, un critico che assistette alla prima scrisse di lui : "è un basso del teatro da zarzuela con una splendida voce, ben impostata, forse unica al mondo, e lo usiamo solamente per la zarzuela". Questo è un giudizio talmente perentorio da non lasciare adito a equivoci, eppure, ad onta di ciò, a Mardones non fu più concessa la possibilità di rientrare in quel teatro da protagonista. E ancor più sconcertante il fatto che fosse utilizzato sì come basso "principale", ma quasi sempre in ruoli secondari, marginali. Intanto in Spagna, a Siviglia, probabilmente Mardones trascorreva più una vacanza che una tournée, ma un attento critico lo notò durante un concerto d'arie d'opera, scrivendo un giudizio che trovo entusiasmante nella sua completezza : "Sr. Mardones ha cantato la cavatina dell'Ernani ("che mai vegg'io?!"), il "Piff Paff" da Les Huguenots e la "vecchia zimarra" come non si ascoltava da tempo a Siviglia. È necessario tornare indietro a Francisco Uetam [grande basso spagnolo della generazione precedente a Mardones, 1847 - 1913] per ritrovare un basso di simili eccezionali qualità. Egli domina come Uetam, con grande morbidezza di linea e gli acuti a "mezzavoce". È semplicemente prodigioso e brillante. Nel medium della sua voce si hanno delle sonorità come fossero un organo, e le note gravi sono piene e ferme. Da moltissimi anni non s'udiva più una voce tanto morbida. La dizione è nitida e la frase misurata. Mardones ha tutti, assolutamente tutti, i requisiti che occorrerebbero per accedere al primo rango di celebrità con qualsiasi repertorio". Giudizio dettagliato, esaustivo, conforme ai parametri critici d'un secolo fa. In compenso, oggi si sente nostalgia non solo di quei cantanti, ma pure di quella critica. Paradosso. Ma vado avanti. Nel 1908, all'età di quarant'anni, giunge per Mardones la stagione di vera svolta. Henry Russell, manager e talent scout inglese, nuovo impresario della neonata Boston Opera Company, amico intimo di Enrico Caruso, ingaggia Mardones per la stagione 1907/1908, inserendolo in un illustre giro di celebrità mondiali : Celestina Boninsegna, Alice Nielsen, Mario Ancona, Mario Sammarco, Florencio Constantino, John McCormack, Hermann Jadlowker, Edmond Clément. Ormai il cantante era maturo, i mezzi straordinari affinati ulteriormente, la notorietà e, da ultima, la celebrità erano conquistate con successo. Particolare distinzione ebbe Mardones a Boston, nell'Aida , in una leggendaria messa in scena con la Boninsegna, Leliva, Baklanov e Maria Claessens. Il ruolo di Ramphis costituì poi il suo cavallo di battaglia anche negli anni del Metropilotan, in cui poteva permettersi di rivaleggiare con Adamo Didur. Nel 1910, non passò inosservato nemmeno da Toscanini, il quale lo conosce a proprio a Boston e lo invita alla prima italiana della Fanciulla del West a Roma nel 1911, avvenimento di grande importanza, affidandogli il ruolo di Jake Wallace, con questi cointerpreti : Eugenia Burzio, Amedeo Bassi e Pasquale Amato. Fu la famosissima produzione in cui Amedeo Bassi fu rimpiazzato da Giovanni Martinelli. La critica definì Mardones così : "nella piccola parte, Mardones ha affermato i suoi straordinari meriti artistici". Boston, che nel frattempo era diventata tra le più importanti piazze operistiche d'America grazie anche agli straordinari nomi che ne componevano le compagnie, fu per Mardones un eccezionale trampolino di lancio. Nel 1910 venne invitato dalla Columbia americana ad incidere per la prima volta la sua eccezionale voce, un secondo blocco d'incisioni s'ebbe nel 1919, ulteriori sessioni sparse tra il 1922 e il 1924. Infine, con il procedimento elettrico, ebbe un rapporto abbastanza assiduo, ma più che altro per canzoni spagnole e brani da zarzuelas. Nel maggio 1917, Giulio Gatti Casazza, che all'epoca s'era conquistato la fama di maggior manager di teatro lirico al mondo, gli offre un contratto con il Metropolitan come "first bass". Mardones, giunto in piena Golden Age dei bassi, si trovò affiancato da colleghi come Didur e De Segurola ovvero, i maggiori bassi del secolo. Questi nomi, letti di seguito, fanno pensare a Ezio Pinza, altro basso di eccezionali meriti ma giunto dopo di loro, solamente come un'ombra di quella Golden Age. Mardones, ormai indiscussa celebrità, fu affiancato dai migliori cantanti del mondo, Caruso, la Muzio, Amato, la Matzenauer, la Ponselle. Dotato d'una estensione eccezionale, gli fu affidata dal manager ferrarese, tra le altre, anche la parte di Escamillo, con la quale trasse notevolissimi successi. Al Metropolitan rimase fino al 1926, anno nel quale iniziarono a manifestarsi i primissimi segni di declino, seppure non palesemente evidenti, come dimostra anche la documentazione fonografica riferita a questo periodo. Non è sbagliato considerare la voce di Mardones, nel mero ambito della vocalità, come la più completa o, se non altro, tra le più eccezionali che si siano udite dall'avvento del disco a oggi.
@medusa57898 жыл бұрын
Eccezionale per omogeneità, morbidezza, colore, espansione e intensità, era anche magistralmente emessa con la classica tecnica della voce pienamente appoggiata nella "maschera", supportata poi da un solido passaggio di registro che, non solo consentiva al cantante grande facilità nella gamma acuta e incursioni in parti baritonali come Escamillo, ma gli permetteva costanti varianti acute d'eccezionale splendore di suono, senza perdere un'oncia nel registro grave, il quale risuonava possente e cavernoso, ma con splendido timbro, fino al Mi bemolle basso. Se da un lato Didur poteva competere, e forse superare Mardones nell'estensione del registro acuto, questi, dall'altro lato, appariva più completo nel registro grave e nella singolarità del timbro, tutto sommato più personale e unico rispetto a quello di Didur. In questo riguardo anzi, la triade di migliori voci di basso della storia del disco può essere costituita da Didur, Mardones e Kipnis. Didur la voce più estesa, Kipnis la più versatile, Mardones la più completa. Se gli straordinari mezzi vocali hanno consentito a Mardones la scalata dei più importanti vertici operistici mondiali, più d'una critica ebbe luogo nei riguardi della personalità artistica. Ma cotanta critica, alla luce d'una analisi attenta e meticolosa, va quanto meno ridimensionata. E certo il giudizio di Lauri Volpi, che con Mardones condivise i fasti del Faust e del Rigoletto, appare oggi eccessivo. Se un confronto con i migliori bassi di scuola italiana, come Tancredi Pasero, Nazzareno De Angelis e Ezio Pinza vedrebbe Mardones cedere il passo almeno nell'ambito dell'eloquenza e della compiutezza stlistica, dal punto di vista strettamente tecnico e nella completezza formale della linea, lo spagnolo non può certo essere giudicato di livello inferiore. Cantante spagnolo, ma di formazione e temperamento italiani, le incisioni che lo ritraggono nel periodo aureo presentano un gioco di portamenti, di legato e dell'utilizzo della mezzavoce tipici dei migliori cantanti italiani. Meno personale di De Angelis, meno eloquente di Pasero, meno poliedrico di Pinza, superava però tutti loro nella completezza vocale e nella purezza timbrica. La voce, eccezionale anche per espansione, si dimostra morbida, duttile, incline al canto "legato" e alla vocalità sfumata a regola d'arte. In questo senso, il suo "pro peccatis" dello Stabat Mater rossiniano può essere indicato come preclaro esempio di saldatura tra i registri della voce e canto legato "all'italiana". Nel primo blocco d'incisioni effettuato nel 1910, la voce appare eccezionale nel colore e nell'omogeneità, ma non è esente da limiti di vibrazione e risonanza. Il secondo e il terzo blocco, realizzati tra il 1919 e il 1924, sono più attendibili e, per certi aspetti, esaltanti. La voce risuona ferma e splendida in ogni registro, la dizione appare nitida, agli splendidi acuti emessi con facilità baritonale sono controbilanciati suoni gravi ampi e poderosi. Il fraseggio, particolarmente solenne e ieratico, magistralmente completa l'organizzazione vocale di prim'ordine. Le registrazioni quì presentate hanno un che di stupefacente. Anzitutto, se il Piff Paff e "la calunnia" sono stati incisi da Mardones nel 1910 e nel 1919, l'aria delle Nozze di Figaro è registrata per la prima volta nel 1929, quando l'artista aveva sessantuno anni.