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Ludovico Ariosto operò per tutta la sua vita nell’ambiente di corte; a buon grado egli può essere visto come il più celebre esempio di intellettuale cortigiano. Nato a Reggio Emilia nel 1474 in una nobile famiglia, il padre era funzionario al servizio dei duchi d’Este. Dal 1484 il padre si stabilì a Ferrara ed è qui che il giovane Ariosto ebbe modo di intraprendere i primi studi, frequentando i corsi di legge all’università di Ferrara. Come altri, però, la sua vocazione era prettamente letteraria e umanistica, pertanto - abbandonati gli studi di diritto - conobbe proprio a Ferrara Pietro Bembo, l’intellettuale più prestigioso dell’epoca, cui fu legato da un sentimento di amicizia e che lo spinse alla redazione di poesie in volgare. Frattanto si stabilì alla corte di Ercole I, entrando nella cerchia dei cortigiani stipendiati. La morte del padre, all’inizio del secolo, lo portò ad accettare anche incarichi ufficiali della famiglia estense, entrando poi a servizio del cardinale Ippolito, figlio di Ercole I, con mansioni diplomatiche e ulteriori incombenze pratiche. Dovendo intraprendere missioni diplomatiche a Roma e nell’Italia centrale, strinse rapporti con gli ambienti fiorentini, soprattutto con Giovanni de’ Medici, futuro Papa Leone X; l’ascesa al soglio pontificio di Leone portò Ludovico alla speranza di incarichi più ambìti, che tuttavia non arrivarono mai.
Nel 1516 cominciò la redazione dell’Orlando Furioso. Dopo l'incarico di governatore in Garfagnana, il poeta tornò a Ferrara nel 1525, occupandosi degli spettacoli di corte, con la redazione di commedie e soprattutto la revisione stilistica del Furioso, fino alla morte avvenuta nel 1533.
Le opere
Le prime opere giovanili di Ariosto sono scritte in latino; si tratta di 67 componimenti quasi tutti redatti fra il 1494 e il 1503. Vi si rivela la profonda formazione umanistica del giovane Ariosto, con componimenti di chiara ispirazione ai modelli classici, a Orazio, Catullo e Virgilio in particolare. Emerge, in questi testi, il contrasto tra la durezza della vita quotidiana e l’aspirazione all’otium intellettuale.
Le rime volgari, a differenza di quelle latine, invece, sono state scritte durante tutto l’arco della vita del poeta, e una buona parte di esse si concentra sul tema amoroso e sulla figura della donna amata. Altrettanto interessanti sono i c.d. “capitoli”, opere dottrinali in terzine dantesche di una certa ampiezza, genere già diffuso nel Trecento che nel corso dei secoli aveva abbracciato tematiche varie e disparate; i capitoli di Ariosto comprendono riferimenti autobiografici ed effusioni liriche e amorose in uno stile medio e colloquiale.
Ariosto si occupò anche di teatro, in qualità di intellettuale cortigiano. Sebbene gli spettacoli di corte si basassero inizialmente sulla traduzione delle commedie latine, ben presto furono redatte commedie nuove in lingua volgare. Ariosto fu uno dei primi autori di commedie che verranno poi rappresentate alla corte estense. Si tratta della Cassaria, eseguita nel carnevale del 1508, e dei Suppositi, l’anno successivo. Sono commedie il cui intreccio è ricavato dai testi latini, in particolare dal modello plautino, con la presenza di conflitto generazionale, temi amorosi, servi astuti in aiuto dei giovani. A questo modello si aggiunse il materiale ricavato dalle novelle di Boccaccio. Inizialmente le due novelle erano in prosa, soltanto successivamente furono riviste e sistemate in endecasillabi sciolti sdruccioli, con un andamento simile ai senari giambici in cui erano redatti i modelli latini.
Tra il 1517 e il 1525 Ariosto scrisse sette satire in forma di lettere in versi indirizzate agli amici. Anche per questi componimenti il modello da cui attinse Ariosto è tipicamente classico: si tratta delle Satire e delle Epistole di Orazio. La satira antica era in origine un componimento che permetteva di toccare i più vasti argomenti, senza un ordine prefissato. Ad Orazio Ariosto si sentiva legato dal suo distacco ironico con cui riusciva a guardare se stesso e gli altri. Lo stile e la forma era però attinente alla letteratura in volgare: si tratta infatti di terzine dantesche. I temi centrali di queste satire sono vari: la condizione dell’intellettuale cortigiano, i limiti e gli ostacoli che essa pone alla libertà dell’individuo, l’aspirazione ad una vita quieta ed appartata. L’atteggiamento del poeta è ironico, ma non aspro, volto più a cogliere con sguardo acuto le contraddizioni e i nodi problematici della società a lui contemporanea. Il tono delle satire, come dal modello oraziano, è conversevole.
Infine, di Ariosto ci sono giunte 214 lettere, scritte durante il corso della sua vita; si tratta di un epistolario diverso dai soliti, privo di intenti letterari, non scritto per la pubblicazione. Vi si riflette più che altro la capacità di Ariosto di penetrare acutamente le situazioni e le persone, in specie nelle lettere risalenti al periodo di governatore della Garfagnana.