Grazie per questa illuminante lezione sul pensiero di Severino Giancarlo Flati 🙏👏👏
@enrico32854394452 ай бұрын
molto bella questa lezione, amo severino ma non avevo mai pensato alle implicazioni sul destino, solo al collegamento con l'etrnalismo
@francescodamele52263 жыл бұрын
Eccezionale Massimo Donà
@kidmarco9 жыл бұрын
Gentile Prof. Donà, anzitutto grazie per la puntuale e rigorosa (benché inevitabilmente sintetica) presentazione. Vorrei sottoporLe almeno un paio di questioni (o dubbi, difficoltà), se mi è lecito. 1) prendendo l'esempio che Lei fa, ad un certo punto, della "mucca" che tra l'esser concepita (utilizzo intenzionalmente il termine nell'accezione direi hegeliana...) come "sacra" o come "alimento" è tutta un' _altra_ cosa: ebbene, tra l'uno concetto di mucca e l'altro non vi è "nulla" in comune se non il concetto (la mucca nella sua idealità, nella sua intelligibilità) e la distanza tra la mucca-sacra *e* la mucca-alimento è infinita (incolmabile, insormontabile) così come tra mucca-sacra, mucca-alimento *e* Mucca ( = intelligibilità della prima come della seconda). Sicché, anche se - iuxta Severino - non è concesso parlare di un _farsi altro_ della mucca-sacra qualora io passassi a concepirla non più come sacra ma come mucca-alimento (entrambi sarebbero due stati eterni nella trascendentalità del concepire o coscienza), tuttavia essendo radicale l'esser-altro dell'una mucca (sacra) dall'altra mucca (alimento) non si può istituire relazionalità alcuna, non perché siano separabili ma perché il rapporto che si istituisse tra le due identità sarebbe del tutto estrinseco all'identità dell'una e dell'altra. Ovvero: ciò che è inseparabile (quindi necessariamente connesso nella reciprocità della distinzione/rapporto) attiene tutto e soltanto al rapporto... il quale però è inessenziale all'essenza della mucca-sacra come della mucca-alimento (essendo essi due concetti che sono l'uno il "nulla" dell'altro, appunto radicalmente interamente irrapportabili, ché l'intero è appunto fuori o, meglio, oltre "rapportabilità"). In sintesi: né la _singola_ mucca-sacra intrattiene alcuna relazione con la _singola_ mucca-alimento (se non estrinsecamente), né la mucca-sacra e la mucca-alimento sono la mucca qua talis (l'essere-mucca). Non sono due aspetti di un _medesimo_, sono due medesimi (cioè non sono _due_ affatto)... per il _semplicissimo_ motivo che, anche qualora dicessi (determinassi) tutto ciò che la prima mucca "non è", non avrei determinato nulla di ciò che "è" la seconda! Appunto perché, con Spinoza: « _Determinatio est negatio, seu determinatio ad rem juxta suum esse _*_non_*_ pertinet_ »(dove il *non* non è un rapporto negativo alla determinatio-negatio, che la riprodurrebbe... ma il negarsi come inessenziale ossia nullità della determinatio-negatio! Ossia il *non* è atto negatorio, non negatività!). Osservazioni radicali che non io "invento" ma che erano decenni fa già state mosse da un grande quanto obliato teoreta quale Giovanni Romano Bacchin, per esempio, che nessuno o quasi sembra conoscere o (voler) citare quando si parla di tali questioni... né oggi né in passato. La identità di OGNI essente (= la intelligibilità quale unità semplice di pensiero ed essere, ossia la "pensabilità", la quale _non_ è un "pensato"), contro ogni "volontà" contraria, non sta in rapporto analitico-sintetico con l'alterità (determinazione, distinzione, relazionalità), bensì dialettico! E' quanto diceva anche Andrea Emo, che Lei ben conosce (e di cui presentò una edizione negli anni '90 proprio alla presenza di Bacchin, tra gli altri, in una conferenza pubblica a Padova, Liviano - Sala dei Giganti): « _Dio, cioè l'assoluto, è in tutti gli enti ma vi è solo negativamente_ »: non nel senso che sia lo "sfondo vuoto" su cui gli enti si stagliano (e che apparirebbe quanto appaiono gli enti, in correlazione originaria con questi) né nel senso che stia "aldilà" degli enti, ma nel senso _radicale_ di ciò che è inesauribilmente presente (non-altro _e_ non-identico, dialetticamente) in ciascun ente e, quindi, nella stessa totalità anche infinita degli enti, non riducibile pertanto neppure alla "totalità degli enti". L'assoluto (l'originario, l'essere) è *puro differire*, quindi: è un atto, non un costrutto analizzabile (di esser-sé ed esser-altro, coimplicantisi), per cui tutto ciò che in esso si "determina" è nulla rispetto all'assoluto, il quale soltanto attualmente "è", ma è appunto infinito ed indeterminabile, eppure sempre presente (richiesto quale fondamento) in ogni determinazione... "determinazione" per se stessa dileguante, anzi null'altro che dileguare (in quanto "determinazione" sarebbe un "differire" _dal_ puro differire, in cui consiste l'assoluto: "differire" impossibile! Sicché la "differenza ontologica" è lo stesso ente, "differ-ente" dal proprio _in-differente_ fondamento, che è appunto quell'infinito _differire_ in cui consiste l'essere stesso. In altri termini, l'esser o assoluto od originario "è" l'interezza dell'ente (direi nella sua intangibile individualità, irripetibile irriproducibile ed in tal senso "eterna"), intero che non può apparire perché non vi è nulla a cui presentarsi e non vi è possibilità di "passare" a presentarsi, essendo sempre presente nella sua attuale presenza come assenza non-presentificabile. Declinare il "pensare" come "apparire" (apparente a sua volta, ossia contenuto di se medesimo), a mio avviso, è una delle "colpe" teoretiche più subdole e gravi d Severino.. un tradimento colossale della lezione attualistica (per cui il "pensare" non può MAI essere anche "pensato", mentre l'apparire severiniano appare esso stesso in quanto sarebbe un essente, un non-nulla): Lie giustamente dice "A chi appare? A nessuno, a nessun -me-" (appare ad un -io- barrato, all'Io trascendentale che non è nessun soggetto empirico)... ma allora NON si dica che è "apparire", perché fino a prova contraria apparire è solo "apparire AD ALTRO" (ed un "altro" non vi è!). Insomma, l'essere (assoluto, l'interezza indivisibile ed indistinguibile quindi irrapportabile) di _ogni_ ente nella sua " _infinita solitudine_ " (locuzione gentiliana, riferifa alla "verità") è l'atto stesso in cui e per cui "si" annienta ogni determinazione (meglio: ciò per cui ogni determinazione _si_ annienta in se stessa e da se stessa, riducendosi ad "essere" tale *puro annientarsi* _finendo_ nell'infinità di tale atto, che è essere-e-pensare: la _destinazione affermativa_ del finito (Hegel)... ma, appunto, non più come "finito"! quindi in senso affatto opposto alla Gloria seveniniana che mi pare piuttosto l'impossibile salvazione della cattiva infinità del finito...) .............. 2) Connesso al punto 1) è anche la riflessione sul senso dell'affacciarsi del discorso "di Severino" (della verità dell'essere attestata dagli scritti di Severino) nella storia dell'Occidente. Ebbene, il manifestarsi della verità, del destino della necessità nella storia della follia nichilistica (dell'errore, della contraddizione inconscia del pensare mortale) a me pare si ponga in una duplice (aporetica) alternativa, che in realtà si riduce ad un'unica impossibilità. *_AUT_* l'apparire della verità, pur manifestandosi come innegabile radice dell'errore (radice "inconscia" dell'errore: ma può una radice essere inconscia - per di più "destinata" a restare tale cioè a non venire mai consaputa perché, in tal caso, la follia diverrebbe verità quindi "altra da sé", smentendo la stessa verità dell'essere - ossia una radice impossibile a sapersi da parte di quell'essente di cui è "radice"?), LASCIA tutto come è, e quindi lascia essere - e la lascia essere come impenetrabile dalla verità! - la propria impossibile e tolta negazione, ma mantenuta come tolta (cioè non veramente tolta, anzi contraddittoriamente affermata come un inessente eternamente essente! poiché non è, se non astrattamente, possibile distinguere due momenti in tale "essente", cioè un positivo significare _ed_ un contenuto insignificante quindi nullo: quest'ultimo, infatti, se è tale non è "momento" affatto, è _negativamente_ "momento" e con ciò cade la possibilità di distinguere un versante positivo _ed_ un (non)-versante negativo. *_AUT_* l'apparire della verità, ad esempio in me, dapprima immerso nella follia nichilista, dopo aver letto e riconosciuto la innegabilità della verità attestata dai testi di Severino, mi rende cosciente della mia inconscia follia.. e con questo, però, ANNULLA la mia follia, essendo la follia "tutta" e solo nel suo non sapersi follia: il suo passare a sapersi tale implica la nullità (il farsi altro) della follia. Non si tratta, quindi, di non poter annullare un presunto essente, quale sarebbe l'errore ( = il contraddirsi come fatto, essente, apparire positivo del nulla), bensì di "vedere" quello che già è ossia che, a rigore, l'errare non "è" mai, non si pone mai effettivamente come essente! Con ciò non ci si autocontraddice affatto - come talora viene obiettato dagli amici severiniani -, poiché si farebbbe apparire l'errore _in actu exercito_ mentre si nega _in actu signato_ che possa essere un essente... non ci si contraddice, poiché il modo di apparire dell'errore è sempre come un "passato" ontologico ( = è una parola, un verbo declinato ontologicamente al passato: 'falsum' come part. pass. di 'fallere'), e non un "presente", ossia per la ragione che errare consapevolmente - cioè "presentemente" - è impossibile, come è impossibile autoingannarsi, altrimenti si configurerebbe proprio quello "errore inemendabile" che è autocontraddittorio e costituisce una impossibile "limitazione" interna della verità... riflesso necessario, a mio avviso, di quella " _divisione (semantica) dell'intero_ " che Severino assume come necessaria, mentre è "necessaria" SOLO sul piano semantico, che è derivato astratto e non concreto originario, essendo precisamente il luogo del non-intero (ed "intero" è necessariamente indivisibile, per definizione, sicché _divisione dell'intero_ è essa l'impossibile). Insomma, l'errore può sempre _esistere_, ma non può mai _essere_ (perché "essere" è - su questo Severino non può non convenire - sempre e solo "sapere di essere", ed un errore inconscio cioè che non si sa né mai potrà sapersi, è inessente). E, per incidens, noterei anche che tutto ciò dovrebbe, altresì, rendere palese che NON ogni "apparire" anche "è", non "è" cioè per il mero _fatto_ di apparire... come, invece, si pretenderebbe (e che il tratto di essere un "non-nulla" è esso stesso un contenuto dell'apparire, di quell'apparire che "crede" di poter, anzi di dover, pensare semanticamente l'essere ed il nulla in una pretesa opposizione originaria, cioè pensare l'essere come negazione-del-nulla: "negazione" invero impossibile, altro che necessaria!). Il _fatto_è quindi sempre questionabile ontologicamente. *In ambo i casi* sopra esposti come aut aut, ciò che si rivela inconsistente, pur in modi diversi, è - a me sembra - proprio la pretesa "verità dell'essere"! La ringrazio sin d'ora per l'attenzione (molto altro sarebbe da dire, e molte altre domande avrei.. ma _de hoc satis_ , per ora, non volendo abusare della Sua cortesia... e poi, sicuramente, devo ancora conoscere e riflettere di più e meglio su tali temi), e sarei onorato oltre che molto lieto se volesse rispondermi, quindi aiutandomi a comprendere meglio. Grazie ed un cordiale saluto. Marco
@kidmarco9 жыл бұрын
***** Forse perché non è affatto in questione la chiarezza di Donà... bensì il contenuto della sua chiarissima esposizione, cioè il plessi essenziali della speculazione di Severino. Magari se si potessero affrontare quelli, in modo effettivamente dialogico... sarei molto grato. Se mi "capissi da solo", non domanderei. Nota: quando si fa (o si tenta, come nel mio caso, di fare) teoresi, non si complica né si semplifica alcunché: si tende allo "strutturale" cioè al "semplice": e questo - a ben vedere - è proprio la cosa più "difficile" (perché non è immediata).
@kidmarco9 жыл бұрын
***** Se la tua risposta avesse un minimo di dignità teoretica, ti risponderei... visto che non vai oltre l'insulto puerile, il discorso (almeno con te e con gente come te) si chiude qui. La filosofia, appunto, è ben altra cosa.
@kidmarco9 жыл бұрын
***** Purtroppo, l'ho letta e meditata (e ne ho colto la raffinatissima astrattezza). Ma - anche qui - l'educazione dovrebbe essere conditio prima, di cui difetti.
@kidmarco9 жыл бұрын
***** "Non so se il riso o la pietà prevale" (Leopardi)
@kidmarco9 жыл бұрын
***** Non preoccuparti, comprendo benissimo chi, non avendo argomenti, debba ricorrere alla retorica o all'insulto scomposto e volgare. Come si sa, i giudizi che uno dà giudicano (qualificandolo) anzitutto il giudicante stesso: per cui non ho nulla da aggiungere. Però ricordati che, oltre ad insultare il sottoscritto (che è molto paziente, non non infinitamente), stai anche riversando la tua maleducazione in uno spazio che non è né mio né tuo ma del prof. Donà. Impara anzitutto il rispetto, poi passa eventualmente alla filosofia. Non ti replicherò oltre. Mentre resto dispnibilissimo a chi volesse SERIAMENTE interloquire nel merito delle questioni.
@Giannetta10002 жыл бұрын
Se ogni “cosa” è eterna come è possibile il relazionarsi, come può ogni eternità non incontrare mai altro che sé stessa? Per me è un problema vedere come “eterno” e “relazione” non si escludano. Ma forse ė sbaglato dire “cosa” eterna, perchè Severino dice “tutto” eterno-quindi (?) anche le relazioni non vere? Ma allora l' “errore” della “relazione” fra ciò che è (eterno) e ciò che si crede, come sarà possibile affrontarlo, magari risolverlo? Domanda sbagliata, perchè nella “Gioia del Tutto” non ci sarà più separazione? ma ciò dice ancora ovviamente che l'eterno esclude la relazione e il negativo-che sono invece per me... la prospettiva, la posizione, l'essere, dell'essere umano. Ho appena cominciato a leggere le opere di Severino (quelle su Leopardi), quindi sono ancora molto a digiuno... (e comunque “in eterno” mi ritrovo il comprendonio che mi ritrovo). Grazie della bellissima lezione
@andreacomincini3 жыл бұрын
Ma il santo e il bandito allora sono fondamentalmente eternamente identici? Non c’è premio o punizione?
@stefanoantoniomasci2722 жыл бұрын
Per gli scritti di Severino è così, non c'è nessuna differenza.