Piemonte-gita tra le risaie e visita a San Lucedio- HD

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Abbazia di Lucedio e la sua storia secolare.
Oggi il Principato è un sito di interesse storico e artistico che ha saputo valorizzare il territorio in cui nasce.
L'abbazia di Santa Maria fu fondata nel 1123 ca. dai cistercensi provenienti dal monastero di La Ferté a Chalon-sur-Saône, su terreni donati loro dal marchese Ranieri I del Monferrato della dinastia degli Aleramici. L'abbazia venne eretta come struttura fortificata su terreni paludosi e tra incolte boscaglie, denominate locez da cui il nome dell'abbazia. Nei tre secoli successivi la sua importanza crebbe costantemente per merito di abati che seppero coniugare spiritualità e fervore di opere. Nel medioevo, l'abbazia svolse un ruolo di primo piano nella storia del Marchesato, divenendone il sacro luogo legato alla famiglia aleramica. Il suo patrimonio terriero si estendeva ben oltre le terre vicine al monastero, comprendendo appezzamenti di una vasta area del Monferrato e del Canavese. Interessante il sistema di gestione adottato, che si basava sulla suddivisione dei possedimenti in grange, a capo di ciascuna delle quali era posto un fratello converso che sapesse far fruttare la grangia. I conversi, che coordinavano a loro volta il lavoro di liberi contadini salariati, rispondevano della loro attività al cellerario, monaco che curava l'amministrazione dell'intera abbazia. Nel 1457, sotto papa Callisto III, il monastero cessò di essere di pertinenza dei cistercensi, divenendo Commenda posta sotto il patronato dei Paleologi, marchesi del Monferrato. Esauritasi dopo quella degli Aleramici anche la dinastia dei Paleologi, il feudo passò ai Gonzaga subentrati a Casale nella reggenza del Monferrato; mentre i Savoia iniziavano ad avanzare loro presunti diritti sul monastero. Solo nel 1707 riuscirono nel loro intento. Nel 1784 l'abbazia venne secolarizzata e le sue grange divennero parte della Commenda Magistrale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, il quale 8 anni dopo conferì la commenda al duca Vittorio Emanuele I di Savoia. Soppresso per decreto napoleonico, la proprietà venne ceduta da Napoleone a Camillo Borghese, a parziale risarcimento delle collezioni d'arte requisitegli a Roma. Caduto Napoleone, si aprì una contesa tra Camillo Borghese ed i Savoia sulla proprietà, divisa poi in lotti e ceduti a vari personaggi (tra i quali il padre di Camillo Benso di Cavour). Il complesso abbaziale di Lucedio passò sotto il controllo del Marchese Giovanni Gozzani di San Giorgio che a sua volta, nel 1861, cedette la tenuta al duca genovese Raffaele de Ferrari di Galliera. Nacque con quest’ultimo il Principato di Lucedio, denominazione che appare sul portale della tenuta. Il Principato di Lucedio, con la cinta muraria che lo racchiude, si presenta come una grande e moderna azienda agricola. Dell'antico monastero medievale si sono conservate notevoli strutture architettoniche: l'inconsueto campanile a pianta ottagonale, poggiante su di una preesistente base quadrata, in stile gotico lombardo; il chiostro; la bellissima aula capitolare (metà del XIII secolo) con colonne in pietra e capitelli di foggia altomedievale; la suggestiva Sala dei Conversi con slanciate volte a vela che poggiano su basse colonne. La prima chiesa abbaziale, divenuta malconcia, fu abbattuta per far posto ad una nuova chiesa edificata in stile barocco tra il 1767 ed il 1770. Fu il monaco-architetto Valente de Giovanni a realizzare il nuovo edificio. All'interno della cinta muraria si trova una seconda chiesa: la cosiddetta chiesa del popolo, costruita nel 1741 per le funzioni sacre destinate alle famiglie contadine ed alla gente comune abitante in Lucedio. Ridotta a deposito agricolo, la chiesa, disegnata da Giovanni Tommaso Prunotto, collaboratore di Juvarra, si lascia ammirare per le sue linee tardo barocche. L'atmosfera medievale del luogo sta alla base delle numerose leggende ambientate in quest'abbazia, che parlano di cripte segrete, di salme mummificate di abati seduti su dei troni disposti a cerchio, di fiumi sotterranei e di una colonna che "piange" a causa degli orrori di cui sarebbe stata silente testimone.

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