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Incontro con Adelmo Franceschini, internato militare. Anzola dell’Emilia, Primavera 2015
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Adelmo Franceschini, aveva poco più di 18 anni Adelmo Franceschini, quando all’indomani dell’8 settembre del ’43 si ritrovò insieme ad altri 650.000 soldati italiani a dover scegliere se arruolarsi nelle milizie della Repubblica Sociale di Salò o finire internato in un campo di prigionia tedesco. l 4 ottobre del 1943 Adelmo e i suoi compagni furono caricati come bestie, in un treno merci, 60 soldati per vagone; partirono per un viaggio di nove notti e nove giorni alla volta di un campo di prigionia situato al confine tra Germania e Polonia. A quasi 90 anni Adelmo non ha ancora dimenticato il rumore dei lucchetti con cui blindarono il vagone dall’esterno, gli odori nauseabondi e l’umiliazione del sopperire ai bisogni fisiologici in una valigia a ciò adibita. Nell'ascoltare lui io penso a mio padre che non ha mai parlato di questa sua terribile esperienza e di come questa lo abbia poi segnato per sempre.
All’ingresso al campo di Basdorf Adelmo divenne il numero 46737.
E' il numero scritto su una targhetta di metallo simmetrica, che durante la detenzione portava al polso con uno spago,il suo numero è inciso sui due lati, perché qualora non fosse ritornato ne avrebbero spedito alla famiglia una metà. Ci fa vedere l’unica cartolina che era riuscito ad inviare, col benestare della censura, alla ragazza che poi divenne sua moglie e che solo un anno e mezzo dopo seppe che era ancora vivo.
Mostro ad Adelmo le cose ritrovate di mio padre e lui si stupisce di una così ricca documentazione: "vedi mi dice io ho solo questa cartolina e la targhetta, le ho perchè mia moglie le ha conservate per me". Sono andata da lui a cercare risposte e in parte le ho trovate. La testimonianza di Adelmo è una testimonianza di sofferenza, ma non di odio o di rancore. una testimonianza di dolore, mai di odio.
La prova è nel racconto che fa dopo la liberazionene di quand’erano ospiti dei sovietici e divisero il pane con un gruppo di bambini tedeschi affamati “Quei bambini, quelle donne non avevano colpa, ed anche quei soldati tedeschi erano vittime come noi”. Lo guardo e penso a mio padre, un uomo in parte diverso da quello conosciuto quando era in vita, ma certo più affine nelle lettere e nelle parole scritte ai genitori dal lager. Voglio ringraziare Adelmo perchè oltre alla sua testimonianza, mi ha dato forza per raccontare la storia di mio padre e di quei 650.000 soldati italiani che con il loro no fecero uno dei primi atti di Resistenza e di Libertà.