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Intervista realizzata a San Giovanni in Persiceto l’01/02/2002.
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È difficile capire fino in fondo il senso delle parole di Elisa Springer, ebrea viennese, catturata a Milano, dove si era rifugiata sotto falso nome, e deportata prima a Therezin, poi ad Auschwitz e infine a Bergen Belsen, dove è stata liberata. Wie viele stücke sind heute angekommen? Quanti pezzi sono arrivati oggi. Eravamo pezzi, per essere sfruttati fino alla morte ed essere gettati alla fine nelle camere a gas. Questo dicevano i tedeschi quando arrivavano i treni, parlando tra loro.
È difficile accettare che tutto questo sia successo nella noncuranza generale.
Eppure l’insegnamento più importante è nelle parole di Elisa: l’odio è come un grande fiume che quando straripa trascina con sé tutto quello che incontra.
I sopravvissuti sono tornati e in silenzio, per tanti anni, hanno ripreso in mano quello che era rimasto delle loro vite, private di tutto, affetti, cose, case. E soprattutto dell’innocenza di essere vivi. Non avevano fatto niente per sopravvivere, avevano avuto fortuna, avevano mantenuto salda la convinzione di dovercela fare a vivere in un luogo dove la selezione tra la vita e la morte era una pratica quotidiana, un pericolo costante.
Chi li avrebbe creduti? Nessuno voleva ascoltare. Ancora oggi qualcuno nega la Shoah, la deportazione nei lager nazisti, dove più di 12 milioni di persone, giovani, vecchi, bambini, hanno trovato la morte.
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