Treno deragliato: l’Italia piange Giuseppe e Mario, i macchinisti morti nella tragedia

È un risveglio drammatico per l'Italia: 10 ambulanze, 2 elicotteri e pompieri che scavano tra le lamiere; queste le prime tragiche immagini che hanno invaso la rete. Un disastro che avrebbe potuto più grave se il Frecciarossa 9595 partito con le prime luci dell’alba fosse stato pieno, come uno dei tanti su cui viaggiano ogni giorno centinaia di italiani. Invece sul primo convoglio della giornata che ha lasciato la stazione di Milano alle 5.10 viaggiavano solo una trentina di persone, più il personale. 7 ore e 17 minuti a una velocità massima di 300 km/h; sono i numeri del treno che avrebbe dovuto raggiungere la sua destinazione prima di mezzogiorno e che invece a Salerno non è mai arrivato. Quel mezzo di trasporto, in una manciata di secondi si è trasformato in una trappola mortale. Il bilancio attuale ci parla di 31 feriti; 27 soccorsi in codice verde e quattro in codice giallo mentre due macchinisti hanno perso la vita. Giuseppe Cicciù e Mario Di Cuonzo, 52 e 59 anni; entrambi esperti, il primo originario di Reggio Calabria, il secondo di Capua, nel Casertano. Giuseppe si era occupato anche di sicurezza sul lavoro; una tremenda fatalità che solo pochi mesi fa avesse scritto su Fb: “La prevenzione è da sempre l'arma migliore”. Nell'ultimo periodo aveva messo da parte gli impegni sindacali per dedicarsi alla famiglia, si era risposato da poco e aveva avuto una bambina. "Poteva essere una carneficina", così Marcello Cardona, il prefetto di Lodi ha commentato quanto accaduto nei pressi della stazione di Livraga. Pochi minuti dopo la partenza, non è chiaro a quanta velocità andasse il treno, secondo le forze dell'ordine, la motrice sarebbe uscita completamente dai binari schiantandosi prima su un carrello, poi contro una palazzina delle ferrovie. Il resto del convoglio, invece, avrebbe proseguito la corsa per diversi metri con la seconda carrozza che si sarebbe poi ribaltata. E il pensiero di tutti, in queste ore di rabbia e incertezza, va a chi resta, alle famiglia che hanno perso i loro cari semplicemente andando a lavorare, come tutti i giorni.
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