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GIOVANNI ALUTTO
Nasce a Barbaresco da una famiglia di agricoltori.
Terzo nato nella famiglia segue la sorella Giulia di 12 anni ed il fratello Luigi di 10. La vita per la famiglia Alutto è dura e i fratelli oltre a mamma e papà spesso sono al lavoro per cui Giovanni resta sull’ aia di casa a giocare con le galline o nei filari di vite. Nei mesi freddi la stalla era il suo rifugio, gli animali la sua fonte di calore. i lavori che si trova a fare dopo aver conseguito il diploma di quinta elementare. A 21 anni arriva la cartolina precetto, viene chiamato al distretto di Mondovì e di lì inviato al 2° reggimento Alpini della divisione Cuneense. Il suo battaglione è il Borgo San Dalmazzo. Viene preso in forza dalla 13^ compagnia e inizia una nuova vita. Il lungo addestramento formale soprattutto nelle marce porta ad una notizia sorprendente si andrà a Roma a sfilare davanti al Duce ed al Fuhrer. E così si parte in autocarro e poi in treno per questo evento particolare. Dopo una licenza di due giorni volati in un amen si rientra in caserma e si formano i plotoni. Assegnato al plotone collegamento e promosso caporale viene scelto dal capitano che comanda la compagnia all’ incarico di furiere che assolve con l’aiuto iniziale del maresciallo dell’ufficio Amministrazione. Dopo qualche tempo in cui le ore di libera uscita erano dedicate allo studio per assolvere bene al nuovo incarico su invito del comandante della compagnia si rafferma diventando sergente.
Scoppia la guerra nel 1940 e il battaglione si schiera al confine con la Francia ed ha i primi morti, poi il trasferimento a Foggia per costituire un battaglione tattico da inviare in Albania. A causa di un piccolo incidente Giovanni viene portato in ospedale dove gli ingessano un dito fratturato e non viene imbarcato per l’Albania, la nave che doveva portarlo al fronte viene silurata causando la morte di molti alpini e fanti imbarcati. Dopo la convalescenza ed una licenza raggiunge gli alpini del suo battaglione che viene rilevato da altro reparto ed inviato al confine jugoslavo a caccia di disertori jugoslavi.
Poi il battaglione rientra in Italia, la truppa non lo sa ed esulta, ma per tutti loro si sta per iniziare la più dura e sanguinosa pagina della storia della divisione: la campagna di Russia. Presi in carico nuovi ufficiali e lasciati al deposito o smistati altrove i richiamati della classe 1914 i reparti vengono duramente addestrati e preparati per la partenza, che avviene all’inizio di luglio. Il viaggio di Giovanni e confortevole perché nel carro bestiame a cui è assegnato sono solo in 8 contro i 40 degli altri vagoni della truppa. Il motivo? Con lui viaggiava tutto l’ufficio del battaglione. Giunti ad Izium, località russa capolinea delle tradotte, gli alpini iniziano la marcia verso il Caucaso, ma sono richiamati per essere inviati a sostenere la divisione Sforzesca duramente impegnata dai russi, ma una carica del Savoia cavalleria (Inscbusceski) ristabilisce la situazione e lascia liberi gli alpini di prendere la nuova posizione lungo un tratto del fiume Don.
Sistemati bene Giovanni e gli uomini del suo ricovero avevano solo un problema: la mancanza di acqua. Arrivava solo con il rancio e scarseggiava per lavarsi. A ciò ovviarono grazie al soldato che era addetto alla consegna della posta, che faceva rifornimento per tutti portando oltre la posta anche le borracce di tutti piene di acqua. Siccome il raccolto era abbandonato nei campi si provvide a turno a raccogliere tutto ciò che poteva servire. Fino al 12 dicembre tutto filò liscio poi un evento che forse salvò la vita a Giovanni: si infiammò una ciste e non potendo essere curato nell’ infermeria del battaglione venne mandato all’ ospedale di Rossosch e di lì più indietro a Woroschilograd e di lì a Dnipropetrovk e passato ad un ospedale tedesco.
Il ripiegamento del corpo d’armata alpino lo raggiunse nel momento in cui stava per rientrare al reparto che non potè più raggiungere. Mandato a Gomel e di lì poi rimpatriato. L’8 settembre 1943 era a Cuneo per questioni di servizio mentre la Cuneense era in Trentino.
Sfuggito alla cattura lavorò per il resto della guerra a Torino.
Dopo la fine della guerra si sposò, ebbe due figli Maria Olimpia e Gianfranco e ancora ora alla bell’età di 103 anni mantiene viva la memoria dei suoi amici e compagni che non sono più tornati dalla Russia presenziando a tutte le cerimonie che vengono organizzate, ma
soprattutto andando nelle scuole a raccontare la sua storia che si sviluppa a cavallo di due secoli.