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Il flusso narrativo dell’album, anche musicalmente, subisce una battuta d’arresto e dal sogno si passa alla realtà con questo che rappresenta lo spannung dell’intera narrazione, il momento di massima tensione, il momento cruciale che porterà De André anche ad una maggiore attenzione da parte Servizi segreti.
Dai documenti ufficiali del Sisde degli anni ‘70 si possono leggere i seguenti stralci: “… identificare il De André Fabrizio e fornire informazioni sul suo conto direttamente al Ministro (…) viaggia sempre accompagnato dalla moglie, in spostamenti continui e sospetti, tra Genova e Milano (…) trattasi di appezzamento di terreno in località Tempio Pausania, dove il De André intenderebbe istituire una comune per extraparlamentari di sinistra, grazie a contatti anarchici e filocinesi”.
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E fa sorridere anche al pensiero che lo stesso De André aveva già scritto, anni prima, La guerra di Piero, un fondamentale manifesto pacifista. Piovani non sarà l’unico a pensarlo. Fernanda Pivano lo definirà “il dolce menestrello che per primo ci ha fatto le sue proposte di pacifismo, di non violenza, di anticonformismo, che sono tutte annidate nei nostri cuori…”.
Scrive Dané: “L’impiegato sa cosa fare, sa dove andare, sa chi deve colpire e perché. Va dritto al Parlamento a gettare una bomba vera per ammazzare gente vera, ma la sua abilità era soltanto un sogno: la bomba rotola giù verso un’edicola dei giornali e l’unica cosa che lo colpisce è, come una previsione, la faccia della sua stessa fidanzata che sta su tutte le pagine dei giornali”.
E così l’attentato fallisce, al ritmo di una marcia che sottolinea il suo incedere regolare e attento in direzione del “luogo idoneo adatto al suo tritolo, del posto degno del bombarolo”, suo vero obiettivo. Ma solo nell’utopia, ossia nel non luogo del sogno. Nel concretizzarla, la sua azione per un qualche imprevisto va a rotoli, l’epilogo è un fallimento, l’azione del “trentenne disperato” fallisce.
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Ma il suo anarchismo, derivante dalle letture di Bakunin, Stirner, Brassens, per citarne alcuni, è rinvenibile in questi suoi pensieri: “Direi d’essere un libertario, una persona estremamente tollerante. Spero perciò d’essere considerato degno di poter appartenere ad un consesso civile perché, a mio avviso, la tolleranza è il primo sintomo della civiltà, deriva dal libertarismo. Se poi anarchico l’hanno fatto diventare un termine negativo, addirittura orrendo… anarchico vuol dire senza governo, anarché… con questo alfa privativo ... vuol dire semplicemente che uno pensa di essere abbastanza civile per riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia (visto che l’ha in se stesso), le sue stesse capacità. Mi pare così vada intesa la vera democrazia. […] Ritengo che l’anarchismo sia un perfezionamento della democrazia”.
Viceversa, rivendicando le istanze riformistiche che scendevano in piazza e loro il democratico diritto di manifestare, grazie al quale si esprimevano i movimenti di quegli anni, sul fenomeno del terrorismo, che cominciava a prendere piede, De André dichiarò: “il terrorismo è stata la vera esasperazione: il Sessantotto che ho vissuto io era un’epoca ricca di fantasia e ha fatto del bene. Le Brigate rosse no, se avessero vinto, oggi staremmo peggio”.
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Podcast curato da Pietro Cesare (@GRAZIEFABER1 )
Riferimenti bibliografici: faber.deand.re...