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Franco Milanesi (1956), Dottore di ricerca in Studi politici (UniTO) e in Pensiero politico e comunicazione politica (UniGE), già insegnante di storia e filosofia al Liceo Scientifico Marie Curie di Pinerolo (To), attualmente Assessore all’Istruzione e alla Cultura del Comune di Pinerolo. È autore di numerosi articoli e saggi tra cui Militanti (Punto Rosso, 2010), Ribelli e borghesi. Nazionalbolscevismo e rivoluzione conservatrice (Aracne, 2011), Nel Novecento. Storia, teoria, politica nel pensiero di Mario Tronti (Mimesis, 2014), Il tempo inquieto. Per un uso politico della temporalità (Ombre Corte, 2022).
La prima guerra mondiale segna la crisi dei fondamenti della modernità europea e apre una fase di sperimentazione sociale, politica e culturale. Nel campo di forze indirizzato al superamento della forma borghese, il nazionalbolscevismo e la rivoluzione conservatrice rappresentano espressioni significative, estranee sia alla democrazia liberale e socialista, sia al fascismo e al comunismo sovietico. Al loro interno emergono figure di militanti e intellettuali come Jünger, Niekisch e von Salomon. A partire dagli anni Trenta la repressione e il conformismo contribuiscono all’esaurimento delle innovazioni emerse da questi movimenti antisistema.
«L’istanza antiborghese che accomuna il neo nazionalismo e il classismo trova […] una sua radice più profonda nell'esigenza di una nuova umanità. Il proletariato è classe universale nella misura in cui la lotta che conduce contro il capitale riproduce il contrasto dell'uomo con se stesso e nella lotta di classe è prefigurato un "definitivo" Reich der Freiheit. In modo analogo il soldato della rivoluzione conservatrice è colui che si batte per il proprio paese, che lotta per l'autoaffermazione tedesca, evidenziando al tempo stesso, nel suo essere e nel suo fare, una diversa qualità antropologica. Egli non è più il combattente dei fronti di guerra ma quello della politica e del lavoro in cui trasferisce dedizione e sacrificio del sé. La destra rivoluzionaria germogliata nel clima di guerra coglie con precisione che l'avvenuta omologazione e proletarizzazione dei ceti popolari accadono nel segno di una nuova espressione, cioè di quella che Jünger definisce come Gestalt dell'Arbeiter, soggettività ontologicamente all'altezza della realtà scaturita dalla guerra. L’operaio non appartiene a un «ceto di miserabili oppressi» ma è «unica antitesi non assorbibile dal sistema», alterità compiuta all'individualità mercantile. Per questo il Typus del Soldato-Lavoratore di Jünger ha tratti evidenti di vicinanza con il bolscevico, con la milizia del lavoro impegnata nell'edificazione della patria socialista, a partire dal rapporto letteralmente simbiotico del singolo nell'unità-tutto.» (dal libro “Ribelli e borghesi. Nazionalbolscevismo e Rivoluzione Conservatrice").