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Fonte: www.dagospia.com
E dire che una volta, primi anni ‘90, c’era il prode camerata Alessandro Giuli, un’aquila fascista tatuata sul petto, che abbandonò il Fronte della Gioventù missina, schifato come mammoletta revisionista, per marciare per le strade di Roma al passo dell'oca nelle file di Meridiano Zero, gruppuscolo di estrema destra che si rese protagonista di violenti scontri contro i movimenti di estrema sinistra.
Passano gli anni, calzato gilè damascato e sorriso prestampato, ritroviamo Giuli anonimo giornalista politico di ‘’Libero’’, poi vice direttore die ‘’Il Foglio’’ spacciato per raffinatissimo intellettuale di destra da Giuliano Ferrara, ma quando l’Elefantino gli preferisce Claudio Cerasa come direttore, Giuli gira i tacchi e si mette a condurre trasmissioni su Rai2, una più fallimentare e strampalata dell’altra.
Ma, una volta sbarcata la destra a Palazzo Chigi, mentre la sorella Antonella diventa la portavoce del ministro cognato Lollobrigida, lui sogna di diventare il direttore di Rai Cultura. Ma quando Giorgia Meloni scopre di non avere intorno una classe dirigente né competente né adeguata, e allora gli fa riempire il frigorifero di casa ordinando al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano di nominarlo alla presidenza del museo d’arte contemporanea Maxxi di Roma.
Al Maxxi si fa subito notare per non distinguere una cattedrale gotica da Le Corbusier, una cornice dal quadro, un vermissage da un negozio di vernici. E allora dà il via a tanti dibattiti e presentazioni di libri (tipo quello con protagonista il pene esagitato di Sgarbi), ottimi per allacciare una rete di relazioni in modalità amichettismo, ma di inaugurazioni di mostre di arte contemporanea si ne vedono pochissime.
Quando l’azzimata testa d’uovo della destra al governo viene incaricata di mettere in scena una mostra su Tolkien, caro alla Ducetta di Colle Oppio viene assalito dal pensiero: che ci espongo, io, di un romanziere al museo architettato da Zaha Hadid? E dà subito una dimostrazione di essere più abile di una biscia per smarcarsi dalla minchiata del progetto: Ministro, il Maxxi è troppo mini, ci vogliono le sale di una grande museo come lo Gnam, la Galleria d’arte moderna di Villa Borghese.
E così, il Bombolo Sangiuliano passa l’incombenza alla direttrice della Gnam, Cristina Collu, che di fantasy se ne intende, basti vedere come ha ridotto le sale del museo durante il suo mandato. E Giuli continua a far salotto nelle sale del Maxxi aspettando che l’abusivo partenopeo e parte-pompeiano si tolga dai cojoni. E ci voleva Maria Rosaria Boccia per farlo contento.
Quasi due anni fa aveva sfiorato la nomina, sorpassato in corsa dall’ex direttore del Tg2 che dava alla neo-premier maggiori garanzie di allargare oltre i recinti della destra dura e pura. Lui, Alessandro Giuli, classe ‘75, non se n’era troppo adontato: uso obbedir tacendo, consapevole di essere uno dei pochi intellettuali d’area su cui Giorgia Meloni ha sempre potuto contare - fedele alla causa anche negli anni della marginalizzazione di Fratelli d’Italia in Rai, dove ne professava il verbo alla guida di programmi non proprio memorabili - venne subito ricompensato con la presidenza di una delle massime istituzioni culturali del Paese, il Museo nazionale d’arte contemporanea. E ora che Gennaro Sangiuliano è caduto in disgrazia, seppellito dalle rivelazioni dell’ex consulente fantasma, è venuto il suo momento: ministro della Cultura.
Prima condirettore del Foglio e poi editorialista di Libero, autore e conduttore televisivo, prezzemolino dei talk show pubblici e privati, Giuli è un volto noto - barbetta ben curata su occhi cerulei - e polemista garbato. Apprezzato per le sue citazioni colte e la pacatezza con cui difende a spada tratta il governo e la sua capa, nella sua breve esperienza al Maxxi non è stato indenne da polemiche: l’idea di inaugurare l’arena estiva del museo con il duetto fra Morgan e Vittorio Sgarbi si tradusse, esattamente un anno fa, in un florilegio di parolacce e insulti, monologhi sulla prostata, dissertazioni sessiste sul numero delle donne conquistate e volgarità assortite, che gli costò più di una critica.
Unico rammarico, aver studiato Filosofia all’università senza però conseguire la laurea, cosa che non gli ha impedito di scrivere numerosi libri tutti tesi a costruire il nuovo immaginario sovranista: ultima fatica, uscita a maggio, “Gramsci è vivo. Sillabario per un’egemonia contemporanea”.
Fra le sue doti, una compostezza e una sobrietà sconosciuta al pirotecnico Sangiuliano. Esattamente quelle che devono aver convinto Meloni a promuoverlo, dopo il love affaire che ha travolto il ministero della Cultura.