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Il PAZZESCO tiro di ROBERT HORRY ||| La faida tra LAKERS e KINGS
Dieci secondi sul cronometro. Cosa sono dieci secondi? Nella vita di un uomo, praticamente nulla. In una partita di basket, possono rappresentare tutto. In una partita Nba, con i Lakers sotto di due e Kobe Bryant in campo, vogliono dire soltanto una cosa: il numero 8, sta per farsi carico del tiro che può portare la sfida all’overtime, oppure della tripla che risolverebbe, in un senso o in un altro, la faccenda. Non è un caso che il pallone finisca rapidamente dalle mani di Robert Horry per trovare quelle di Kobe. Ora, di secondi, ne mancano nove, Bryant si è messo con i piedi verso il canestro e deve trovare il modo per andare ad attaccare il ferro. Sulla sua strada c’è Doug Christie, un cliente decisamente scomodo con il quale trattare in circostanze simili. Ma Kobe riesce a prenderlo alla larga, ad aggirarlo senza quasi mostrare fatica. Sta per mettere piede nel pitturato quando di secondi ne mancano ormai solamente cinque e sulla direttrice di penetrazione di Bryant appare un uomo molto grosso, le braccia lunghe, la barba sfatta. Stop. Ci serve un attimo.
La Continental Airlines Arena di East Rutherford, New Jersey, è la sede del Draft Nba del 1996. È il 26 giugno e quello che sta per avere luogo è uno dei draft più profondi della storia. Alla prima chiamata, senza discussioni, i Philadelphia 76ers scelgono un prodigio come Allen Iverson. Subito a seguire, cinque scelte che definirei senza dubbio educate: Marcus Camby, Shareef Abdur-Rahim, Stephon Marbury, Ray Allen, Antoine Walker. Man mano che si scende, le cose iniziano a complicarsi. Ci sono ancora due futuri Mvp della lega da scegliere, ma ben sei franchigie non se ne avvedono. Il primo dei due a essere scelto, alla chiamata numero 13, è il non ancora diciottenne Kobe Bryant, da Lower Merion High School. È uno dei due giocatori ad aver seguito la strada tracciata da Kevin Garnett, che un anno prima aveva deciso di saltare il college per fare immediatamente il salto in Nba: l’altro è Jermaine O’Neal, che sarà chiamato alla 17 da Portland. Come saprete, a chiamare Kobe Bryant non sono i Los Angeles Lakers, bensì gli Charlotte Hornets. La prima immagine che abbiamo di Kobe in Nba, dunque, è la stretta di mano con David Stern e il cappellino degli Hornets. Durerà poco, perché il piano di Jerry West è di arrivare a quel ragazzo. I Los Angeles Lakers mettono le mani su Kobe anche per creare spazio salariale: l’altro obiettivo dei gialloviola è dare l’assalto a Shaquille O’Neal, stella degli Orlando Magic in regime di free agency. La moneta di scambio per avere Kobe Bryant è proprio quell’uomo molto grosso, con le braccia lunghe e la barba incolta. Si chiama Vlade Divac, e quando scopre che sta per essere scambiato per un liceale perde la testa. Si mette di traverso, minaccia il ritiro. Dieci giorni dopo il draft, Jerry West lo supplica chiedendogli un incontro. Era stato lui, in fin dei conti, a portarlo ai Lakers dal Partizan Belgrado.