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Nei giorni scorsi, DeepSeek, azienda cinese operativa da un biennio scarso che impiega circa 200 dipendenti, ha immesso un un chatbot basato sull’intelligenza artificiale generativa e sull'apprendimento automatico open source le cui performance risulterebbero migliori - e aun prezzo di gran lunga inferiore - rispetto a quelle del leader mondiale del settore, ChatGpt della statunitense OpenAi. Quest’ultima è attiva da un decennio, occupa quasi 5.000 dipendenti e per sviluppare ChatGpt ha investito circa 100 milioni di dollari, a fronte dei 6 milioni impegnati da DeepSeek per mettere a punto il suo prodotto. La cui irruzione ha innescato un vero e proprio cataclisma sui mercati azionari, con Nvidia che ha registrato una riduzione di 600 miliardi di dollari di capitalizzazione nell’arco di poche ore trascinando nella sua caduta gran parte delle aziende hi-tech ricomprese nell’indice Nasdaq. OpeAi, società proprietaria di ChatGpt, ha prontamente accusato DeepSeek di furto intellettuale, cioè di essersi indebitamente avvalsa dei propri modelli di apprendimento per sviluppare la propria intelligenza artificiale. L’ipotesi è stata evocata anche da David Sacks, che in qualità di consigliere speciale per l’intelligenza artificiale e per le criptovalute del presidente Donald Trump ha dichiarato a «Fox News» che «c’è una tecnica nell’intelligenza artificiale definita “distillazione” […]. Quando un modello impara da un altro, in un certo senso “succhia” la conoscenza dal modello principale». Intanto, il chatbot cinese è sparito dai negozi digitali italiani. Al di là delle accuse più o meno strumentali e del rimbalzo azionario che ha garantito alle aziende quotate a Wall Street un parziale recupero, l’intera vicenda ha in ogni caso messo a nudo sia lo stato ipertrofico della “bolla” azionaria statunitense incentrata sul settore dell’alta tecnologia, sia le crescenti difficoltà riscontrate dagli Stati Uniti a reggere il passo dell’avanzamento tecnologico cinese. Lo si evince dal fatto che, se tra il 2003 e il 2007 gli Stati Uniti erano leader mondiali in 60 dei 64 settori coperti dal Critical Technology Tracker dell’Australian Strategic Policy Institute (Aspi) contro i 3 totalizzati dalla Cina, nel 2023 la Cina era diventata leader in 57 aree. Un risultato strabiliante, che riflette sia la capacità cinese di sfornare un numero di laureati nel comparto Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) dalle 8 a 15 volte superiore agli Stati Uniti a fronte di una popolazione di 4 volte maggiore, sia la funzionalità di un sistema di organizzazione degli interessi completamente diverso da quello degli Usa, dominato dalle logiche della finanziarizzazione. Ne parliamo assieme ad Alessandro Volpi, saggista, docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa e collaboratore dei siti «Altraeconomia» e «Valori».
FONTI
apnews.com/art...
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www.reuters.co...
www.foxnews.co...
tg24.sky.it/te...
www.ansa.it/si...
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AVVISO IMPORTANTE: Questo video presenta una analisi puramente ipotetica e speculativa di possibili scenari riguardanti la situazione economica statunitense e cinese, sulla base di fonti pubblicamente disponibili. Non deve pertanto essere interpretata come previsione certa di eventi futuri. Il contenuto è prodotto esclusivamente a scopo informativo e accademico, nel contesto di una analisi geopolitica.