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100 anni fa la val di Scalve venne funestata da un grave disastro, i cui ricordi tendono ormai a perdersi nella notte dei tempi. La mattina del primo dicembre 1923 crollò la diga del Gleno, causando la fuoriuscita di 4 milioni di metri cubi d'acqua che investirono la val di Scalve. Nel giro di pochi minuti furono spazzati via dalla furia dell'acqua gli abitati di Bueggio e Dezzo di Azzone, e poco dopo l'onda si abbatté sul comune di Darfo Boario Terme e Gorzone in Val Camonica, per poi concludere la sua folle corsa nel Lago d'Iseo, a oltre 20 chilometri di distanza. La fiumara di fango e detriti lasciò nella valle 356 vittime riconosciute, oltre ad un numero non meglio definito di dispersi.
Siamo tornati a visitare quei luoghi in occasione del centenario della sciagura per cercare di capire cosa accadde quella tragica mattina, e come mai sia avvenuto un cedimento strutturale così catastrofico. Sarà un'occasione anche per scoprire la storia di quella diga e gli errori nel corso dei lavori che potrebbero aver compromesso la sua resistenza.
Il progetto iniziò a muovere i primi passi nel lontano 1907, anno in cui venne richiesta una prima concessione per lo sfruttamento idroelettrico del torrente, presso pian del Gleno. La concessione fu rilevata 10 anni dopo dall'azienda manifatturiera dei Fratelli Viganò, che iniziarono a progettare la nuova diga principalmente per le esigenze della loro attività di produzione del cotone, bisognosa di energia elettrica per le lavorazioni. La diga del Gleno venne pensata proprio per questo scopo, inizialmente per le esigenze private dei fratelli Viganò, ma anche per vendere l'energia elettrica in regime di monopolio in tutta la valle. L'acqua sarebbe stata raccolta in un bacino di 4,5 milioni di metri cubi, e da qui incanalata in una condotta forzata, che avrebbe alimentato con un primo salto di 550 m la centrale di Povo, e poi quella di Valbona con un ulteriore salto di 285 m, generando una potenza complessiva pari a 7,5 MW.
La costruzione della diga venne caratterizzata dalla modifica sostanziale del progetto in corso d'opera, il quale inizialmente prevedeva una diga a gravità in muratura spessa 40 m alla base, poi alleggerita con il sistema ad archi multipli per ragioni di costi.
Dopo il disastro, vennero denunciate gravi superficialità nella esecuzione dei manufatti, ma anche uso di materiali di bassa qualità e carenze a livello di progettazione della diga. Inoltre la modifica del progetto in corso d'opera ebbe a coincidere con il congedo dell'impresa esecutrice della prima parte dei lavori, ovvero il tampone di fondazione, e il subentro di una nuova ditta incaricata di completare l'opera. Il passaggio di consegne però non fu certo una condizione ideale, vista la complessità del progetto, e infatti le nuove maestranze non risparmiarono critiche sull'operato della ditta uscente, bollando come mal fatti i lavori finora eseguiti. Si stava rafforzando insomma la convinzione secondo cui la diga del Gleno fosse stata costruita male, e sulla base di un progetto che presentava diverse criticità in seguito alla volontà dei Viganò di ridurre al minimo i costi. Venne accertata anche la disomogeneità del calcestruzzo, la scarsa qualità dei leganti, specie per quanto riguarda il tampone di fondazione, e l'esiguo scavo in roccia per l'ancoraggio delle pile, elementi che avrebbero influito negativamente sulla resistenza della diga.
Il primo dicembre 1923 sembrava una giornata qualsiasi, il lago era al massimo invaso già da 1 mese per le abbondanti piogge autunnali, con l'acqua che spesso usciva copiosamente anche dagli sfioratori, provocando forte erosione del terreno alla base delle pile. Poco dopo le 7.00 di mattina dell'1 dicembre 1923, un'intera porzione della diga lunga 80 m cedette, provocando la fuoriuscita di 4 milioni di metri cubi d'acqua.
A 100 anni dal disastro, non esiste ancora alcuna certezza sulle reali cause del cedimento. Nel corso del processo, l'unico aspetto su cui i tecnici di accusa e difesa furono concordi, riguardava il punto di cedimento dello sbarramento, individuato nella zona di appoggio della diga sul tampone di fondazione. Si è parlato del lento sgretolamento della roccia sotto il tampone, dovuto anche alle infiltrazioni d'acqua, con il conseguente slittamento della fondazione stessa verso valle fino al punto di collasso delle pile, causa giudicata verosimile da molti esperti.
L'imponente struttura superstite, ormai è diventata un monumento in ricordo di uno dei più eclatanti fallimenti ingegneristici italiani, oltre a commemorare per sempre le vittime innocenti della grande tragedia che un secolo fa ha sconvolto la Valle di Scalve.
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La tragedia della diga del Gleno Benedetto Maria Bonomo Ed. Mursia
IL CROLLO DELLA. DIGA DI PIAN DEL GLENO: ERRORE TECNICO? Umberto Barbisan
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