KANT, Critica della Ragion PRATICA [1/2]: Dalla Legge Morale all'Imperativo Categorico

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Studio Noesis - PhilMax

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Күн бұрын

Пікірлер
@assuntavenosa4302
@assuntavenosa4302 3 ай бұрын
Sto studiando tramite i tuoi video per gli esami universitari se passo giuro che accendo un lume
@mirkopanza768
@mirkopanza768 2 жыл бұрын
Amo molto questo genere di video ed apprezzo ampiamente il tuo canale e soprattutto il faticoso lavoro che immagino ci sia dietro. Aspettavo da molto le video-lezioni relative al pensiero di Kant e sono rimasto molto affascinato dalla tua capacità di riassumere e di presentare un pensatore così difficile. Tuttavia, mi permetto di fare alcune osservazioni. (1) Si è detto che la ragione pratica contiene in sé il carattere dell'incondizionatezza, caratteristica che non può essere attribuita alla ragione pratica come facoltà pratica in generale, bensì alla ragione pura in quanto pratica, la quale sola fornisce all'essere razionale un principio incondizionato ed universale. (2) La morale per Kant non è una problematica (la Critica dimostra che possono esserlo, ma non è detto che poi lo siano effettivamente) prerogativa per i soli esseri umani, ma riguarda per definizione ogni possibile essere razionale, nella quale classe sono evidentemente compresi anche gli esseri razionali finiti sensibili umani (o esseri umani). (3) Parlare di leggi morali al plurale è sostanzialmente scorretto, perché Kant dice esplicitamente che la vera legge morale è una sola, la cui formulazione è conosciuta da tutti fin dalle scuole superiori ("Opera in modo che la massima della tua volontà..."), quel principio pratico che è sostanzialmente una regola per la costruzione di massime morali (mi sembra di aver capito che con "tre leggi morali" ti riferisca alle tre formulazioni dell'imperativo categorico presentate da Kant nella Fondazione della metafisica dei costumi: cosa ben diversa, anche perché non bisogna mai confondere l'imperativo categorico (o legge dei costumi) con la legge morale, di cui la prima rappresenta un riformulazione in termini costrittivi per gli esseri la cui volontà è soggetta alla sensibilità (sentimento del piacere e del dispiacere). Dato che il video relativo a questo argomento non è ancora uscito, ti chiedo scusa in anticipo se ho frainteso le tue indicazioni). Ti faccio ancora i miei più sentiti complimenti per questo progetto e aspetto volentieri l'uscita dei prossimi video (tra cui spero presto sia compreso anche un set-up su Kant).
@PhilMaxi
@PhilMaxi 2 жыл бұрын
Ciao Mirko ti ringrazio per il commento e per il contributo che sicuramente completa e approfondisce il video, ho letto tutto molto accuratamente. Per quanto riguarda il punto numero uno mi sento di darti pienamente ragione, una doverosa precisazione, Per quanto riguarda il punto numero due ho diverse perplessità. Per sostenere, infatti, che la ragione si presenti come tale anche in altri ipotetici esseri razionali (che possano avere accesso ad una ragion pratica), (P.S. va da sé che Kant qui escluda il mondo animale, in quanto la sua rimane sempre un’ottica meccanicistica che non contempla la possibilità per un animale di avere accesso alla sfera morale - ogni dubbio in proposito verrà tolto con la terza Critica) bisognerebbe ipotizzare la presenza di esseri razionali non-umani (extraterrestri per intenderci). Ipotesi plausibile ma non verificabile all’interno del sistema kantiano. Infatti, chi ci potrebbe garantire che la ragione dell’essere in questione rifletta la nostra, chi ci dice che le nostre 12 categorie e le nostre intuizioni pure esauriscano come tale il bacino in cui si può muovere una ragione che si sia costituita a partire da una “mente” diversa dalla nostra. Per affermare ciò dovremmo addentrarci nel mondo della “cosa in sé”, e commettere l’errore di ritenere la ragione suprema legislatrice di questa dimensione irraggiungibile, dove, invece, la ragione può legiferare solo entro i limiti di una “mente antropomorfa”. Se invece il riferimento è alla semplice ragione pratica, potremmo dire che l’essere umano, in virtù di questa, potrebbe esigere, da qualsiasi essere dotato di ragione, (indipendentemente dalla conformazione della sua ragione), il rispetto della legge morale, questo perché “antropomorficamente” la dimensione pratica predomina la dimensione conoscitiva. Per quanto riguarda il terzo punto, come giustamente sottolinei, non “sarebbe” giusto parlare di più definizioni per quanto riguarda la legge morale, e questo proprio perché è un principio di natura formale, e in quanto tale sarebbe già un errore tentarne una definizione (un indebito riempimento contenutistico). Nella sostanza però, Kant, arriverà a darne diverse formulazioni, noi ne vedremo tre, e in queste formulazioni i vari significati della legge morale verranno progressivamente a modificarsi. Quindi, sebbene Kant voglia parlare di 3 formulazioni (e noi, per coerenza ai testi, abbiamo lasciato il termine “formulazioni”), più corretto sarebbe parlare di vere e proprie leggi diverse tra loro, perché ognuna mette in risalto diversi aspetti dell’unica legge morale, modificandone sostanzialmente la portata. Ciò ha permesso a diversi studiosi di parlare con tranquillità di “leggi morali” kantiane (al plurale), mi viene in mente Antiseri: «Le leggi morali sono universali e necessarie, ma non come lo sono le leggi naturali…». Sull’imperativo categorico non penso di aver capito bene la tua posizione, il nesso tra imperativo categorico e legge è infatti inscindibile. Dice Kant “l’imperativo categorico è ciò che rappresenta un’azione necessaria per sé stessa, senza relazione con nessun altro fine”. Abbagnano “l’imperativo categorico è l’unico a proposito del quale si può legittimamente parlare di legge” e ancora Kant “gli imperativi stessi, se sono condizionati […] cioè se sono imperativi ipotetici, saranno sì, precetti pratici, ma non leggi. Le leggi debbono determinare sufficientemente la volontà in quanto volontà […] Perciò debbono essere categoriche; in caso diverso non sono leggi, facendo loro difetto la necessità». (C.R. pratica A37). Spero d’aver chiarito almeno in parte, e di aver interpretato correttamente la tua lettura. Ti ringrazio ancora per l’intervento d’approfondimento, essenziali per chi voglia andare più a fondo!
@mirkopanza768
@mirkopanza768 2 жыл бұрын
@@PhilMaxi Ti ringrazio vivamente per aver dedicato tempo a rispondere alle mie sollecitazioni. Diciamo che le questioni 1 e 2 sono abbastanza connesse e mi pare che trovino un punto di comune risoluzione proprio nella Critica del giudizio teleologico, più precisamente nel quinto capoverso del paragrafo 76 (pagina 513 dell'edizione Bompiani che mi sembra di aver riconosciuto tra i tuoi libri). In quel capoverso Kant dice esplicitamente che: "è chiaro che proviene solo dalla costituzione soggettiva della nostra facoltà pratica il fatto che le leggi morali debbano essere rappresentate come comandamenti" (Kant qui parla di "leggi morali" al plurale, è vero, ma penso che lo faccia in modo estensivo riferendosi a tutte i possibili principi morali che presentano la forma della legge fondamentale della ragione pura pratica (quelle che noi chiamiamo comunemente "leggi morali", come ad esempio la massima: "non mentire"). Dalla mia lettura del primo capitolo dell'Analitica della ragione pura pratica mi è sembrato che Kant ponesse una differenza sottile tra la legge pratica (che viene anche detta legge fondamentale della ragione pura pratica), la legge morale e la legge dei costumi (il quale non sarebbe altro che l'imperativo categorico: corollario al paragrafo 7 dell'Analitica della ragione pura pratica), dato che mi pare molto improbabile che il rigore di Kant abbia fatto in modo che termini diversi descrivessero la stessa cosa senza dirlo esplicitamente). In questo capoverso è evidente come l'imperativo categorico non corrisponda pienamente alla legge morale, cosa abbastanza chiara anche da ciò che Kant dice nella Critica della ragion pratica (mi riferisco a questo testo e non alla Fondazione, perché dalle opere successive al 77-78 si evince che Kant rimanga fermo sulle posizioni espresse nella Critica della ragion pratica e accantonate alcune di quelle relative alla Fondazione): solo per noi, ossia esseri la cui volontà è determinabile anche da altro che non sia la semplice ragione, la legge morale assume un carattere costrittivo (imperativo), cosa che non è possibile inferire riguardo ad altri possibili esseri razionali che, ad esempio, abbiano una volontà determinabile solo dalla pura ragione (perché in questo caso, come tu dici giustamente, si entrerebbe nel capo nella cosa in sé, giacché è impossibile affermare che la struttura della nostra facoltà conoscitiva sia la sola possibile e di fatto ciò è escluso dal sistema Kantiano: non possiamo verificare che esistano altri esseri razionali non umani, come non possiamo verificare che la nostra facoltà conoscitiva sia la sola possibile e, di conseguenza, ipotizzare che esistano altri esseri dotati di ragione e tuttavia non finiti come noi, ma non si va oltre questo punto). Kant effettivamente parte da un'ipotesi, ossia che esista una legge valida per ogni possibile essere razionale a prescindere dal particolare tipo di finitezza che lo contraddistingue (in altre parole: al di là della felicità, qualcosa di troppo particolare per poterne dedurre un principio universale). Questo non significa che allora esistono altri esseri razionali non umani, ma semplicemente che la legge morale sarebbe valida per ogni possibile essere dotato della nostra stessa ragione (togliendole ciò che è propriamente umano e finito, ossia: il fatto che compiamo il male; che la nostra volontà è affetta patologicamente e cioè toccata dal sentimento del piacere e del dispiacere, ecc.). Sicché, la moralità è un problematico attributo di ogni possibile essere razionale (e dunque anche per ogni essere razionale finito), al di là delle singole differenze che lo contraddistinguono rispetto ad ogni altro essere razionale. Riassumendo mi sembra che l'operazione kantiana sia questa: astrarre da ogni attributo finito e contingente che caratterizza l'essere razionale finito sensibile umano (essere umano) e giungere ad una classe più ampia che ne comprenda ogni possibile forma, ossia l'essere razionale in generale (in quanto la ragione è qualcosa che accomuna tutti al di là delle singole differenze); verificare che si dia la possibilità per questa ragione pura di essere pratica (e cioè capace di determinare per sé sola la volontà) mediante la realtà di un principio pratico formale (la legge fondamentale della ragione pura pratica), la quale varrebbe per ogni possibile essere razionale, con la differenza che per gli esseri razionali finiti (la cui volontà è determinabile anche dal sentimento del piacere e del dispiacere) essa si presenterebbe sotto la forma di un comando assoluto, ossia sotto la forma di un imperativo categorico (la reale differenza tra legge morale e imperativo categorico a cui mi riferivo starebbe semplicemente nel fatto che l'imperativo categorico è la legge morale in quanto si presenti di fronte ad una volontà patologica, per cui prende una forma costrittiva). Mi rendo conto che sono questioni interpretative molto sottili, per cui è anche abbastanza complesso riassumerle qui in poche righe, pertanto mi scuso per la confusione e la poca chiarezza. Comunque, è sempre un piacere confrontarsi su questi temi perché mi permette di ampliare sempre di più la conoscenza di un filosofo così complesso e profondo come Kant. Ti ringrazio ancora vivamente per questa preziosa occasione di confronto!
@Salvatoresantomarco
@Salvatoresantomarco 2 жыл бұрын
I miei complimenti per la chiara comunicazione
@1IIms
@1IIms 2 жыл бұрын
Quanto è bella la filosofia
@Andrea-tw7rc
@Andrea-tw7rc 7 ай бұрын
Lo potenza del genio filosofico di Kant , coesisteva con un carattere debole asservito ai pregiudizi morali, ecco perché -tramite un postulato indimostrabile : “tu devi”- il soggetto empirico(Kant in quanto individuo) recupera le tre pretese della metafisica : Dio, l’anima immortale , il mondo quale “tutto” creato e finalisticamente ordinato. Quelle stesse che la potenza del suo intelletto filosofico lo aveva condotto a giudicare razionalmente indimostrabili. In sintesi: il bigotto rese “innocuo” il filosofo .
@robert1297
@robert1297 2 жыл бұрын
Ma quell'edizione in copertina rigida dell'opera?
@PhilMaxi
@PhilMaxi 2 жыл бұрын
La riserviamo per il set-up ;)
@francougolini5192
@francougolini5192 Жыл бұрын
Ama il prossimo tuo come te stesso non è un’invenzione cristiana, si legga Lev: 19,18
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