Purtroppo ho commesso un errore di taglio al minuto 3:20, la citazione mancante dice quanto segue: "L'uomo non deve rigettare da sé la paura terrena, nel timore della morte egli deve rimanere", sempre tratto da Rosenzweig! Sorry, ero così entusiasta del nuovo microfono che ho commesso un errore da principiante! 😀😀
@DailyCogito6 жыл бұрын
(se volete approfondire e leggere direttamente il libro di Rosenzweig, ecco: amzn.to/2Bpc1ZP) 😉
@gennarosoprano9486 жыл бұрын
Rick scusa il link per tutte le opere non conduce al testo di Bompiani, ma al testo singolo "la provvidenza".
@lhutor72106 жыл бұрын
La morte è un argomento tosto da affrontare alle 7 di mattina, proviamoci: L’uomo sembra essere l’unico Essere ad avere la consapevole della sua durata nel tempo che si determina attraverso la nascita e la morte. A livello personale prima e dopo c’è il nulla, anche se il prima è determinabile dalla storia del mondo e il dopo necessariamente ci sarà. Noi non abbiamo nessun elemento per determinare il nulla, appena lo pensiamo lo determiniamo come qualcosa. Il concetto di nulla è impensabile, alcuni filosofi lo pensano in negativo cioè l’opposto del qualcosa. Il nulla sembra essere qualcosa di molto più determinabile attraverso il sentimento che attraverso la razionalità. La morte nostra e dei nostri cari ci provoca sofferenza e ci mette di fronte al significato della vita: Ma se tutto finisce nel nulla che significato ha tutto il mio darmi da fare? Che significato ha mettere al mondo un’altra persona che sarà consapevole della propria morte e soffrirà? Che significato ha comportarmi bene se non ricevo un premio su questa terra? Secondo gli atei l’uomo ha inventato Dio per avere una consolazione a queste domande, trovando nella vita eterna un elemento che ci permette di non impazzire di fronte alla possibilità del nulla e per dare un significato al male, alla sofferenza, alla vita stessa. Tanti filosofi hanno negato Dio e trovato nella vita un significato ulteriore, altri negandolo hanno fatto i conti con un nichilismo moderato che li ha portati ad una esaltazione della singola libertà personale o verso un nichilismo estremo in cui sono stati risucchiati prematuramente. Ogni discorso razionale su Dio e il nulla non può che essere rigettato perché contraddittorio, all’uomo non rimane che fare i conti con la propria emozione che ci può portare a credere o non credere alla vita dopo la morte, che ci porta a soffrire per la nostra possibile morte e quella dei nostri cari, che ci porta a sentirci compassionevoli con le altre persone perché hanno le nostre stesse sofferenze. Attraverso l’esperimento mentale di ipotizzare una vita eterna molti filosofi hanno cercato di dare razionalità alla durata della nostra vita: 1)Se potessimo vivere per sempre potremmo fare tutto quello che vogliamo, potremmo scegliere tutto ma in fondo non sceglieremmo niente, perché la scelta deriva dalla libertà di andare verso una direzione abbandonando l’altra. 2)Se potessimo vivere per sempre non avremmo il sentimento e le emozioni, con tutti i suoi aspetti negativi (paura della morte, della sofferenza, dell’abbandono, di una scelta sbagliata, non avremmo rimpianti o rimorsi), o anche positivi (amore, desiderio, soddisfazione, felicità, compassione). 3)Se potessimo vivere per sempre non ci sarebbe morale che deriva dalla libertà 4)Se potessimo vivere per sempre non potremmo avere coscienza e concettualizzare perché avremmo di fronte sempre l’universalità e mai la particolarità Sembra essere la morte a far acquistare significato a tutto, e se esiste un Dio nella sua benevolenza e nella sua onnipotenza ce l’avrebbe donata. Tutte queste cose non possono consolarci perché la sofferenza fisica e mentale rimane, perché rimane il mistero o l’arroganza divina del fatto che siamo stati sbattuti in questa vita senza che nessuno ci abbia chiesto niente , allo stesso modo saremo sbattuti fuori. Non è consolatorio pensare che per esserci vita deve esserci anche la morte. Non è consolatorio che è il limite a determinare l’evento stesso. Antonio de Curtis, in arte Totò, cercava di consolarci con la bellissima poesia “A Livella”, parlandoci della morte come di un qualcosa che accomuna tutti gli uomini di ogni ceto sociale e ogni professione: “A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella… Ma chi te cride d’essere…nu ddio? Ccà dinto,’o vvuo capi,ca simmo eguale?…Muorto si’tu e muorto so’ pur’io;...Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo, trasenno stu canciello ha fatt'o punto c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme:tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?…. ognuno comme a ‘na’ato é tale e quale...nuje simmo serie…appartenimmo à morte!. Ma anche questo non riesce a consolarci, è solamente una pareggio non una vittoria. Un altro aspetto contraddittorio è che tutte queste consapevolezze che ci derivano dall’esperienza della vita o dalla razionalità, da un punto di vista ci fanno apprezzare maggiormente la vita, dall’altra ci fanno odiare questa consapevolezza, vorremmo essere poco saggi, poco razionali. Nell’Eclesiaste, Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme, dopo essersi reso conto della vanità della vita dovuta al fatto che le cose vanno e vengono senza niente di nuovo, senza un significato più alto, senza una possibilità reale di modificarle, arriva a pensare che la sapienza è anche dolore: “Pensavo e dicevo fra me: «Ecco, io ho avuto una sapienza superiore e più vasta di quella che ebbero quanti regnarono prima di me in Gerusalemme. La mia mente ha curato molto la sapienza e la scienza». Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento, perché molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere, aumenta il dolore.” Di questa impossibilità di consolarci ne ha parlato Pascal con il concetto di “gioco” che sono tutte le attività futili dell’uomo che ci consentono di sfuggire al pensiero della nostra fragilità e finitezza. Alcuni pensatori contemporanei ci parlano della negazione della morte nella nostra società: “Come ogni essere vivente, l’uomo subisce la morte, ma a differenza di tutti gli altri la nega con le sue credenze nell’aldilà. La morte è infatti l’avvenimento più naturalmente biologico ma anche il più culturale, quello da cui nascono la maggior parte dei miti, dei riti e delle religioni” Hans-Georg Gadamer “La nostra è la prima cultura moderna postindustriale che non ha elaborato una cultura della morte. Che non ha un orientamento nei confronti della morte. La morte è semplicemente diventata indecente. È stata rimossa.” Pierre Chaunu Seneca ci dice che riflettendo sulla morte noi arriviamo a valutarne gli aspetti positivi rispetto a quelli negativi: la vita è breve se viene sprecata, è lunga se viene vissuta pienamente. Non pensare alla morte non è una soluzione adeguata ma è il suo pensarci che ci permette di vivere in modo corretto e ci permette di fare in modo che la morte non ci colga impreparati. Lo scopo dell’uomo è essere un Essere razionale e ogni uomo è dotato di questa scintilla universale, eterna, divina che è la Ragione, ed è dotato anche della finitezza della materia, queste cose lo rendono uguale nella compassione delle altre persone e nelle dinamiche dell’universo. E’ meglio morire da giovane nel pieno delle proprie facoltà rispetto alla possibilità di arrivare nella vecchiaia a desiderare la morte. In Seneca ritroviamo molti elementi che ci aiutano ad affrontare la vita ma non riescono a consolarci pienamente, perché rispondono alla nostra ragione ma non rispondono al grido della nostra coscienza che continua a chiedersi: Perchè la fine? Perchè io? Alla morte noi rispondiamo in tre maniere: 1)razionalizzandola 2)attraverso una catarsi ironica per smontarla della sua forza 3)non pensandoci fino a quando la vita non ci mette davanti a questa possibilità Tutti i giorni ci alterniamo in questo esercizio. E alla fine di questo post voglio ironizzare sulla morte dopo averla razionalizzata, sperando poi di dimenticarla durante la giornata. Voglio ricordare un magnifico Vittorio Gassmann nel meraviglioso film di Mario Monicelli: “L’Armata Brancaleone”: L’epico dialogo con la morte kzbin.info/www/bejne/j5vOY4Vrp8uDgdU
@matteobergonzoni86516 жыл бұрын
Paolo Martinotti bel commento, molto interessante.
@lhutor72106 жыл бұрын
@@matteobergonzoni8651 Grazie Matteo
@Kokorozashi6 жыл бұрын
Mi chiedevo se avevi intenzione di affrontare l'argomento del suicidio secondo Seneca e mi hai risposto due secondi dopo. Top
@CrazyRoby815 жыл бұрын
Aaaaaah che bella scoperta io tuo canale! Fantastico ascolto appena sveglio, camminano nel verde. Ciao, grazie per questi contenuti.
@GimmiBill6 жыл бұрын
Grazie mille per aver trattato questo argomento! Mi premeva molto!
@gianmarcobellini85186 жыл бұрын
Un pezzo di video, a 3:20, pare mancante 😔
@m2460-u1o6 жыл бұрын
Gianmarco Bellini è un invito a comprare il libro
@gianmarcobellini85186 жыл бұрын
@@m2460-u1o geniale
@flaviocorsi7066 жыл бұрын
Noi non possiamo saperlo perche senza la morte tutta la nostra impostazione mentale sarebbe diversa Quindi dire di non poter amare potrebbe essere che non potremmo ,ma forse sarebbe solo differente il tipo di amore o di sentimento Forse più cosciente forse l'immortalità ci permetterebbe di sapere cosa è la verità se ne esiste una
@matteobergonzoni86516 жыл бұрын
Tanti bei discorsi sulla morte... ma chissà cosa avrebbe risposto Seneca se un'entità divina fosse venuta da lui a offrirgli l'immortalità? E chissà cosa risponderesti tu Rick... Elogiare la morte, perchè fa cessare il dolore, è come chi al crollo della propria casa (magari appena edificata) commenta "Che botta di fortuna! Ora non si depositerà più polvere sui mobili". Il dolore e la sofferenza sono concime per la crescita personale, dalla morte non nasce nulla, è l'ultimo ineluttabile orizzonte. La fine.
@flaviovale966 жыл бұрын
6:00 mi ricorda "la livella" di Totò
@brokenbridge47526 жыл бұрын
la bellezza dell'aquilone sta proprio nell'essere legato ad un filo, anche se i legacci per definizione sembrano essere brutti