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Otto anni dopo l’ultimo viaggio, in una lettera a Stefan Zweig, Freud confessò la sua incessante nostalgia per l’Italia: «fino alla guerra e una volta dopo di essa, dovevo almeno una volta all’anno andare a Roma per qualche giorno o settimana.»
Che il tema del «viaggio» fosse carico di un significato interiore e potrebbe essere inteso quasi come una metafora della propria vita e della psicoanalisi nel suo complesso, lo dimostra lo scritto “Un disturbo della memoria sull’Acropoli”.
Il quasi ottantenne Freud confessò di aver provato un «ardente desiderio di viaggiare e di vedere il mondo» già da quando frequentava il ginnasio, e ne interpretò il significato analitico: «È come se l’essenziale del successo consistesse nel fare più strada del padre e che fosse tuttora proibito voler superare il padre.»
Erano così passati trentacinque anni dal primo viaggio a Venezia del 1895: il viaggio in Italia era diventato una bella e rilassante abitudine di vita.
Il paese, la sua storia, la sua cultura e il suo paesaggio non solo gli fornivano un importante «materiale» inconscio, sotto forma di sogni, errori, associazioni, ma erano soprattutto fonte di benessere, piaceri, divertimento e ispirazione.
Non sorprende quindi la confessione che l’anziano Freud scrisse in una lettera del 28 febbraio 1936: «Per me [...] la bellezza dimora in Italia e nel Mediterraneo».
Questa frase concisa, una sorta di ultima dichiarazione d’amore per l’Italia, è da ritenere come un suo lascito.
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penisolabella....
Nella primavera del 2009, tra gli scaffali della Library of Congress di Washington D.C. fanno una scoperta sorprendente: si imbattono in un contenitore mai esaminato prima con dieci scomparti, ciascuno con un piccolo taccuino.
Realizzano così di aver ritrovato i taccuini tascabili che Sigmund Freud portava con sé durante i suoi viaggi e che fino ad allora erano stati considerati perduti.
I viaggi nell’«agognata Italia» di Freud, furono numerosi e si svolsero dal 1895 al 1900, a cui seguirono quelli dal 1907 al 1913.