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/ @gianlucafraula
Interpretato da Gianluca Fraula
Testo di Marco Gaetani
Montaggio di Lorenzo stipa e Gianluca Fraula
Shaquille O'Neal: la storia del GIOCATORE più DOMINANTE di sempre
Formazione
È un’infanzia complicata quella del ragazzino che in famiglia chiamano tutti Shaun, da Rashaun, il suo secondo nome. Innanzitutto perché nei dintorni di Newark deve fare lo slalom tra gli spacciatori; in secondo luogo, perché cresce senza il padre biologico, in galera per ragioni legate proprio alla droga. C’è però mamma Lucille, una donna instancabile, che gira per la città con il certificato di nascita del figlio in tasca: nessuno crede che quel ragazzino così grande abbia l’età che davvero dichiara la madre, che si tratti di una partita di pallacanestro o del controllore di un autobus. È gigante, Shaq. Nel corso della preadolescenza gli viene diagnosticata la malattia di Osgood-Schattler, un’infiammazione dolorosa delle ossa che si trovano nella parte alta della tibia, tipica dei ragazzi che fanno sport. Le sollecita parecchio, quelle gambe, con un’attività fisica che mette a dura prova un fisico così massiccio. In casa, oltre a mamma Lucille, c’è Philip Harrison, che di fatto agisce da padre di Shaq: la sua è un’educazione oltremodo rigida, ogni volta che il figlio eccede nei comportamenti la risposta è una, una soltanto. Botte. Con le mani, con le cinte, con le scope. È un militare e anche per questo la famiglia inizia a girare per gli Stati Uniti prima, trasferendosi in Georgia, e in Europa poi, in Germania, a Wildflecken. L’infanzia di Shaq è segnata dalla violenza che egli stesso perpetrava nei confronti dei coetanei, un bullo in piena regola. Ma il giorno in cui, a suon di schiaffi e calci, provoca a un ragazzino un attacco epilettico, capisce quanto di sbagliato ci sia nel suo atteggiamento e, dopo la tradizionale ripassata da parte di Philip, la sua vita cambia drasticamente.
Il basket lo attrae, fosse anche solo per una predisposizione fisica naturale che a 13 anni lo vede già sfiorare i due metri. Tra i più noti episodi della sua adolescenza, c’è l’incontro con Dale Brown, coach di Louisiana State, in visita nella base militare tedesca dove Shaq vive. Ingenuamente, il giovane O’Neal chiede al coach quali esercizi può fare per perfezionare la propria elevazione: portare a spasso per il campo quel corpo, infatti, non gli risulta semplicissimo. A quel punto, Dale Brown gli risponde.
«Soldato, ti aiuterò: una volta tornato a Baton Rouge ti invierò un regime di allenamento personalizzato. Da quanti anni sei in servizio?»
Shaq risponde al coach di avere 13 anni. Gli occhi di Brown schizzano fuori dalle orbite.
«Figliolo, allora avrei il piacere di incontrare i tuoi genitori».
Chiede udienza al sergente Harrison, il quale risponde a Brown che ha grande piacere per l’interesse nei confronti del figlio, ma che ripone anche enorme importanza nella preparazione accademica di Shaq. È una risposta che seduce ancora di più Brown, che rimarrà sempre in contatto con quel giovane prodigio della natura. Un prodigio che, però, deve ancora diventare un giocatore: è tecnicamente grezzo, risulta inevitabilmente lento, è anche vagamente pigro. Ma la molla del padre è costante e allora comincia a lavorare, ad acquisire una tecnica non solo relativa al gioco, ma ai singoli movimenti. Shaq deve imparare a saltare, a muovere i piedi, a usare quel corpo come un punto di forza e non come una zavorra. Grazie all’aiuto di alcuni assistenti operativi nella base, migliora giorno dopo giorno. Ma nel 1987 deve lasciare la Germania: si torna negli Stati Uniti.
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