[Shorts #52] Azionario cinese in ripresa: opportunità reali o rischio nascosto?

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Күн бұрын

Пікірлер: 8
@giuseppesantini6998
@giuseppesantini6998 Ай бұрын
Grazie per i consigli😊
@pacobajito85
@pacobajito85 Ай бұрын
Salve, davvero molto interessanti questi short. Mi piace anche l'approccio così concreto che proponete e senza fronzoli di grafica, vlog ecc. Ha un'opinione su EM ex china?
@saurograzzini5681
@saurograzzini5681 Ай бұрын
Da Smith e Ricardo, la “ricchezza delle nazioni” è stata al cuore dell’economia politica. Non sorprendentemente, le determinanti sistemiche della crescita sono state sino a tempi recenti ravvisate dagli economisti in variabili d’ordine economico: il volume delle risorse applicate alla produzione; il grado d’efficienza con cui le risorse vengono utilizzate, date le tecniche conosciute; le innovazioni, che esogenamente innalzano la frontiera dell’efficienza e imprimono alla produttività un trend positivo. Dopo la Rivoluzione industriale inglese, in soli duecento anni, il capitalismo ha moltiplicato per oltre sessanta il prodotto mondiale. Lo stupefacente progresso risulta nell’insieme dei due secoli imputabile per poco più della metà al maggior volume delle risorse impiegate - beni capitali soprattutto - e per poco meno della metà all’innalzamento della produttività. Ma il capitale e gli altri input hanno contato tendenzialmente sempre meno. Fra le economie di oggi due terzi della varianza nei livelli del prodotto per addetto e una parte anche maggiore della varianza nei suoi ritmi di incremento sono imputabili alla qualità del produrre, non al volume delle risorse utilizzate. Quindi oltre a risorse, efficienza, innovazione dev’esservi dell’altro. Gli economisti non hanno mai escluso che le variabili non economiche possono influire. Basti riandare allo Smith economista, giurista, maestro di retorica e belle lettere, filosofo. Nel 1951 lo stesso Domar - economista matematico - avvertiva che “lo sviluppo economico è determinato dalla struttura fondamentale della società. Una teoria completa dovrebbe includere l’ambiente fisico, l’assetto politico, gli incentivi, i metodi educativi, il quadro istituzionale, la propensione alla scienza, al cambiamento, all’accumulazione”. Nondimeno, nel nome del rigore analitico, i moderni teorici della crescita si sono a lungo astenuti dall’inoltrarsi lungo gli scivolosi terreni del “sociale”. Nell’estendere le possibili determinanti dello sviluppo alle variabili meta-economiche un apporto importante è stato offerto dagli storici. Negli ultimi anni gli storici dell’economia hanno molto avvicinato fra loro la storia e la teoria della crescita. Hanno indotto gli economisti a rendere i loro schemi teorici meno semplificanti, meno astratti. Soprattutto, li hanno orientati a porsi di fronte ai fatti per spiegarli, senza limitarsi alla ricerca di leggi generali, a questioni quali steady state, dinamica in equilibrio ovvero in squilibrio, progresso tecnico neutrale o non-neutrale, golden rule. Cultura, Istituzioni, Politica sono state ampiamente e variamente evocate dagli storici. Problema sempre delicato è quello della direzione del nesso causale, ovvero della reciproca interazione fra variabili economiche e variabili non economiche. È il problema che Marx pose, assegnando prevalente rilievo alla cosiddetta struttura rispetto alla cosiddetta sovrastruttura. Per lo più gli storici economici odierni tendono a rovesciare l’indicazione di Marx. I fili delle culture, gli assetti istituzionali, i modi della politica hanno spesso radici che preesistono al capitalismo moderno. Nel linguaggio econometrico si tende, da questa storiografia, a guardare a cultura, istituzioni, politica come a un insieme di “variabili strumentali”, influenti da molto lontano sull’economia. Da ultimo gli economisti non sono stati sordi alla sollecitazione che proveniva dagli storici: teorizzare sì, ma anche misurarsi con i fatti dello sviluppo e del sottosviluppo; non fermarsi a risorse, efficienza, innovazione, ma avventurarsi nel metaeconomico, tradizionale pertinenza di altre scienze sociali. E’ qui che si inseriscono i fondamentali contributi di Daron Acemoglu James Robinson e Simon Johnson, insigniti del premio Nobel, su come “le istituzioni si formano e influenzano la prosperità “. La tesi è che la crescita dipende dagli incentivi: a risparmiare, investire, cercare l’efficienza, ideare, innovare. Gli incentivi dipendono dalle istituzioni economiche. Le istituzioni economiche dipendono dalle istituzioni politiche, dalla politica. La politica dipende dalla storia. Vi è crescita se dalla storia, anche casualmente, emergono istituzioni politiche ed economiche inclusive: pluralismo, sicurezza della proprietà privata e dei contratti, ordinamento giuridico imparziale, beni pubblici, libertà d’entrata e di scelta per i produttori. Le nazioni invece “falliscono” se dalla storia emergono istituzioni politiche ed economiche extractive. La concentrazione del potere consente allora ai gruppi che lo detengono di sottrarre risorse al resto della società. Anche quando le elites rivolgono quelle risorse allo sviluppo, lo impongono dall’alto e il successo non sarà durevole. La geografia e la cultura non sono decisive. Decisive sono le istituzioni. Questo tipo di ricerca ha il grande merito di aver esteso i confini dell’indagine economica. Tuttavia non scioglie tutti i dubbi: sottovaluta la non-identità di mercato e capitalismo. Il primo esiste da millenni, il secondo solo da tre secoli. Nulla provano i riferimenti agli Aztechi o a Roma antica… Le istituzioni del passato, anche quando preludono alle attuali, si applicavano a modi di produzione dotati di mercato, ma non capitalistici: caccia-raccolta, neolitico, assiro-babilonese, schiavistico, feudale, mercantile. Il problema economico consisteva nel miglior utilizzo una tantum di risorse date, attraverso il comando, la cooperazione, lo scambio. Nel capitalismo sono invece cruciali l’accumulazione, i capitali fissi e il loro ammortamento, l’innovazione, l’allocazione dinamica delle risorse. Viene sottovalutato l’intreccio delle istituzioni, e della stessa politica, con la cultura. Trascura i casi in cui istituzioni identiche hanno coesistito con livelli e ritmi di sviluppo economico molto diversi, spiegabili solo su altre basi. In ogni modo, a mio parere , un Nobel meritatissimo perché spiegare perché un sistema economico cresce( e fluttua nel corso del tempo ) e’ lo scopo principale della teoria macroeconomica. E’ solo dalla piena comprensione di questo fenomeno che si possono ridurre le differenze di reddito.
@lucafittabile8937
@lucafittabile8937 Ай бұрын
secondo me gli studi di economia servono solo a sottrarre braccia all'agricoltura. non e' scienza...e' filosofia sociale.
@Roberto-s3h
@Roberto-s3h Ай бұрын
È molto probabile che il governo Cinese abbia "INVITATO" le banche ad acquistare azioni..... attraverso l'aumento di liquidità. Non ho fiducia nei mercati emergenti perché poco trasparenti. Se fossi in grado di farlo farei stock picking ma con molta accortezza, selezionando solo le aziende tecnologiche e con un'ottica di lungo periodo
@saurograzzini5681
@saurograzzini5681 Ай бұрын
"Perché le nazioni falliscono" Libro che ho letto appena uscito alle stampe in Italia. Gli autori hanno appena preso il premio Nobel. Nel libro, e nel commento precedente, i motivi per cui MI RIFIUTO di investire nei mercati emergenti. Mid e SMALL CAP USA, sp500 equal weigh, Europa, Giappone, Canada, Australia, KOREA sud. Basta e avanza come diversificazione. La volatilità và accettata. Chi non l' accetta si dia all'ippica.
@fiorindodia4225
@fiorindodia4225 Ай бұрын
Giacomino NOSTROOOO❤❤❤❤🎉
@845ste
@845ste Ай бұрын
Strappo???? Jpm china sono sotto ancora del 30/40%!!!!🤦‍♂️e stata solo una piccola fiammata temporanea .
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