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“La guerra è un’ossessione dei vecchi che mandano i giovani a combatterla”, scriveva Baricco, e nell’intera discografia di De Andrè troviamo spesso riferimenti in grado di riprendere questo concetto. ù Da “Girotondo” a “La guerra di Piero”, il tema bellico non si è mai distanziato troppo dal pensiero di Fabrizio che ne ha cantato ogni conseguenza, descrivendone il tormento e la fatica. In questo caso specifico ci troviamo in Libano, durante la drammatica guerra civile durata ben quindici anni. De Andrè punta il faro sul passaggio delle truppe israeliane a Sidone, tra il confine del Libano e Beirut e ne presenta il lavoro così: “Sidone è la città libanese che ci ha regalato, oltre all’uso delle lettere e dell’alfabeto, anche l’invenzione del vetro. Me la sono immaginata, dopo l’attacco subito dalle truppe del generale nel 1982, come un uomo arabo di mezz’età, sicuramente povero, che tiene in braccio il proprio figlio macinato dai cingoli di un carro armato. Un grumo di sangue, orecchie e denti da latte, ancora poco prima labbra grosse al sole, tumore dolce e benigno di sua madre, forse sua unica e insostituibile ricchezza.”
L’inizio del brano coincide con le voci dei presidenti Ronald Reagan e Ariel Sharon e con in sottofondo i cingoli di un carro armato. L’immagine descritta è quella di un padre che regge tra le braccia i resti del figlio, il più innocente che sconta l’egoismo esercitato dal potere. Un padre che piange e odia e in questo ciclico ripetersi di emozioni, si rafforza l’inutilità del conflitto bellico.
Continuando con l’ascolto del brano, conosciamo chi questa guerra la combatte: i soldati, descritti come cani arrabbiati con la schiuma alla bocca in cerca di agnelli. Camminiamo ancora percorrendo la forza evocativa del testo e arriviamo a Sidone, con la sua superba eredità nascosta però dalle fiamme, offuscata dall’odio. La “piccola morte” che viene cantata a questo punto del brano non è da intendersi come la morte di un bambino bensì va accolta come figura retorica dietro la quale si cela la fine civile e culturale di un piccolo paese. Il finale di Sidun è solo strumentale, un sottofondo che richiama il lamento senza fine di un padre arabo in un teatro di numerosi massacri. Un brano, Sidun, che può, a ben ragione, assumere il rango di emblema del concetto di universalità applicato ai contenuti, espressi in maniera più o meno costante, nelle canzoni di Fabrizio De André, se si considera la drammatica e, in apparenza, perenne contemporaneità dei temi affrontati, soprattutto nel caso di quelli “contro la guerra”. ----------------- Curato da Lucia Lamboglia e con la voce di Simona Atzori. Per la bibilografia cliccare qui: faber.deand.re/podcast/creuza...