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Registrazione del 28 settembre 2006, quando Piergiorgio Odifreddi ha tenuto all’Auditorium Parco della Musica di Roma, una lezione su Che cos’è la logica?, nell’ambito della serie "Che cos’è?".
Questa lezione è un riassunto orale del libro "Le menzogne di Ulisse" (Longanesi, 2004).
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Autointervista: "Odifreddi ed io" Incontri con menti straordinarie di Piergiorgio Odifreddi
di Piergiorgio Odifreddi (Giugno 2004)
Dopo essere stato confinato per decenni nella caserma della logica matematica, Piergiorgio Odifreddi è da qualche tempo in libera uscita nel campo della divulgazione. In alcuni suoi libri si aggira ancora nei pressi della caserma, da "La matematica del Novecento" (Einaudi, 2000) a "Divertimento geometrico" (Bollati Boringhieri, 2003). In altri guarda all'insù e ammicca al Comandante Massimo, da "Il Vangelo secondo la scienza" (Einaudi, 1999) a "Il computer di Dio" (Cortina, 2000). In altri ancora guarda all'ingiù e scherza col fuoco, " Il diavolo in cattedra (Einaudi, 2003) a " Zichicche" (Dedalo, 2003):da quest'ultimo, addirittura, con prefazione di Belzebù stesso.
D: Professor Odifreddi, un altro libro?
R: Intende un altro dei miei, o in generale? In ogni caso, le ricordo che Borges si vantava non dei libri che aveva scritto, ma di quelli che aveva letto. E perchè qualcuno possa leggere, qualcun altro deve scrivere.
D: Borges è morto, però.
R: Sì, e difficilmente ci sarà un altro lettore come lui: uno che, come disse una volta Umberto Eco, aveva letto (e recensito!) non solo tutti i libri esistenti, ma anche quelli inesistenti. Morto Borges, rimaniamo comunque noi, e qualcuno dovrà pur scrivere i libri che leggiamo.
D: Ma non è già stato scritto tutto?
R: In letteratura forse sì, perchè la vita umana è sempre la stessa: amori, viaggi, guerre, morti, ... Cos'altro si può fare, dopo Omero o Vyasa, se non ripetere le stesse storie, benchè con parole diverse? E, puntualmente, il massimo capolavoro occidentale del Novecento non è forse un rifacimento dell'Odissea? Ma nella scienza no, non è affatto stato scritto tutto!
D: Come fa a saperlo?
R: Perchè l'universo, diversamente dall'uomo, è illimitato. E la scienza lo scopre poco a poco, giorno dopo giorno, pur sapendo che non potrà mai conoscerlo completamente.
D: Lei però ha scritto un libro di logica, non di scienza.
R: Senza la logica non potrebbe esserci la scienza, e nemmeno la matematica. Solo la letteratura, appunto, in tutte le sue forme: religione e filosofia comprese.
D: Anche il suo libro, però, si presenta come un racconto letterario, a partire dal titolo.
R: In origine, l'avevo addirittura chiamato Il racconto della logica, per rivendicare il diritto degli scienziati di riappropriarsi della letteratura e redirigerla su temi scientifici.
D: In che senso, riappropriarsi e redirigere?
R: Nel senso che la riflessione scientifica è nata con i poemi sulla natura di Parmenide ed Eraclito, e ha prodotto almeno un capolavoro poetico: il De rerum natura di Lucrezio. Non a caso, c'è un riferimento a Parmenide nel sottotitolo del libro.
D: Ma oggi il linguaggio scientifico è tecnico e arido.
R: Lo è diventato per due ragioni. Da un lato, la complessità degli argomenti richiede una precisione e una chiarezza di pensiero che il linguaggio comune non permette. Dall'altro lato, il linguaggio poetico o letterario fornisce un comodo paravento dietro al quale si possono troppo facilmente nascondere le cialtronerie e i ciarlatani, dalla filosofia della Natura di Goethe a quella dell'Essere di Heidegger.
D: E la logica, che ruolo ha in tutto questo?
R: Uno dei temi del mio libro è appunto che la logica permette di evitare le trappole in cui si cade quando si usa il linguaggio comune troppo allegramente, come facevano i signori che ho appena citato, e continuano a fare i loro epigoni.
D: Può fare un esempio?
R: Anche due! E cioè, le abusate parole "spirito" e "anima". Oggi i filosofi e i teologi le usano in libertà, come se dietro di esse ci fosse qualcosa di reale. Ma dimenticano che in origine lo spiritus latino, così come i suoi equivalenti greci psyche e pneuma, o quelli sanscriti brahaman e atman, non significavano altro che la respirazione, nelle due forme di inspirazione ed espirazione. O che anemos era semplicemente il vento, e "animato" chi respirava: come gli animali, appunto, dei quali non si pensa certo che abbiano un'anima! Il significato originario rimane ancor oggi, benchè nascosto: ad esempio, quando si parla di "anima di un pneumatico'' per la camera d'aria di una gomma, o di "anemometro" per lo strumento che misura il vento (ovviamente, non l'anima!).
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L’intervista completa al link
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