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L'AQUILA - Ha il merito di aver riscoperto due antichissime varietà di vite, sconosciute e apparentemente estinte, di produrre vino cotto in un antico forno del Settecento e uno spumante metodo classico coi vitigni autoctoni, che a seconda delle stagioni possono essere passerina o montonico. Ma l'azienda agricola della famiglia Cioti, a Paterno di Campli (Teramo), va scoperta soprattutto per i suoi pregiati rossi: il montepulciano d'Abruzzo, che sulle colline teramane trova la sua migliore espressione.
"La nostra è una cantina diffusa, distribuita in varie viuzze del paese", racconta Vincenzo Cioti, che insieme al padre Filiberto partecipa in questi giorni a Vinaria, la kermesse dedicata al vino e al formaggio che anima Piazza Duomo all’Aquila fino a domenica.
Occasione nella quale si può assaggiare, tra gli altri prodotti, il Pathernus montepulciano colline teramane docg del 2008: "Un bel sedicenne - dice Vincenzo - che quando è stato vendemmiato non credevamo di destinare alla riserva, perché è stata un'annata piovosa e un po' problematica. Eravamo scettici, invece abbiamo provato e ci ha dato grandi soddisfazioni, esprimendo un'eleganza quasi non da montepulciano".
La zona di produzione è sulle colline ad un’altitudine di 400 metri, il vigneto di 60 anni è allevato a cordone speronato ed ha una densità di 2.200 ceppi per ettaro con una resa di 6000 Kg/ha. Le uve vengono raccolte a mano e portate in cantina in piccole casse. La vinificazione è tradizionale in tini. La fermentazione avviene in botti di acciaio e il successivo affinamento in botti di rovere per un periodo che varia dai 30 ai 36 mesi.
Con il suo palazzo Fidanza al centro dell'antico borgo di Paterno - costruzione risalente alla seconda metà del XVII secolo - appartenuto alla famiglia di ricchi proprietari terrieri, la cantina Cioti merita di essere visitata e scoperta sul posto. Gli anziani del paese narrano come all'interno si producesse una grande quantità di vino, a testimonianza di ciò sono stati rinvenuti oltre 10 botti di castagno e rovere risalenti alla metà dell'800, e che tutti nel paese collaboravano raccolta dell'uva per il signore locale dell'antico feudo.
La pigiatura avveniva in un antico palmento costruito interamente in pietra e mattoni. Il mosto andava nella "fonte", galleria scavata sotto al palmento e che raccoglieva il mosto pigiato con i piedi, prima di essere travasato in botte per la fermentazione.