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Ancora una volta la trama del racconto nella Chiesa monumentale di San Francesco a Gualdo Tadino corre tra le pagine della pittura contemporanea. Circa trenta dipinti, per lo più inediti e realizzati nell’ultimo anno, documentano la ricerca artistica di Massimo Giannoni (Empoli, 1954), a partire dalle sue, ormai iconiche, librerie, biblioteche storiche e borse d’affari. Tra materia e memoria, tra sapere e attualità, la sua pittura si caratterizza per una pasta cromatica fatta di spessi strati di colore a olio. La composizione tiene in bilico l’immagine della realtà tra la concretezza dei grumi della pittura e la sua sparizione per eccesso di stratificazioni di materia. Pittura pesante quella di Giannoni, ma allo stesso tempo carnale e viva, in cui lo sguardo è chiamato costantemente a districarsi tra apparizioni e scomparse del reale compresso in interni e in ambienti affollati, dove tutto è portato in primo piano ed esaltato nella sua visione tattile.
Senza rinnegare riferimenti precisi a luoghi reali, tratti dal mondo dei media o da fotografie di librerie, di palazzi antichi o di orizzonti urbani, Giannoni è riuscito ad affermarsi come pittore di grande originalità nel campo dell’arte contemporanea, ispirandosi sia alle ricerche più estreme della pittura di grandi maestri come Gerhard Richter che di maestri della fotografia come Candida Höfer. Allo stesso tempo, tuttavia, l’artista toscano conserva la pratica artigianale del lavoro a studio di tipo rinascimentale, tra tubetti di colore, tele, trementina e pennelli, respirando l’eco della migliore tradizione pittorica di una città come Firenze, che egli ha eletto a luogo di vita e di lavoro da molti decenni.
“Abbiano scelto come titolo dell’esposizione L’inganno del Vero perché in Giannoni la realtà è presente e ancora riconoscibile - sia essa una biblioteca, la sede di una borsa valori, una piazza o la sala espositiva di un museo - tuttavia non nella sua apparenza, ma compressa nell’intimità dei motivi interni, al confine tra figurazione e astrazione che attraversano come un fiume carsico tutta la sua produzione pittorica. Questa poetica deve moltissimo ad Anton Čechov, al Pierrot lunaire di Arnold Schönberg, quanto al Vampiro di Carl Dreyer, agli interni di Gianfranco Ferroni e, soprattutto, agli orditi letterari di Marcel Proust”, dichiara Cesare Biasini Selvaggi co-curatore della mostra.