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@antropologo a domicilio
Giovanni Coffarelli, di Somma Vesuviana (NA), è stato uno straordinario cantatore della tradizione popolare campana. La sua voce era unica. Ma è stato anche molto di più. Egli esprimeva la sua cultura locale e al tempo stesso ci rifletteva sopra e la studiava, e con questa competenza cercava di comunicarla all’esterno. Giovanni non era un esecutore passivo, ma ricreava continuamente il suo mondo culturale, lo adattava e attualizza nello spazio delle relazioni sociali nuove che il mutamento storico metteva in campo. Perché per lui il patrimonio di cui era rappresentante e protagonista, doveva fornire occasioni e strumenti per un miglioramento e un avanzamento del contesto sociale. Si può dunque definire, oltre che artista, nel senso più pieno e più nobile un “attivista politico” con le armi della cultura popolare.
Poi anche qualcosa in più: negli anni Novanta uscì un libro dedicato a lui, curato da Ciro Raia, “E’ ghiut’o treno dint’ ‘e fave? (Giovanni, sacerdote di una tradizione ininterrotta)” (Napoli, Edizioni Pironti), in cui c’erano le testimonianze di tanti studiosi e amici (c’era anche la mia). Tra le altre quella di Roberto De Simone, che scriveva: “Come esprimere quello che è passato umanamente, emotivamente, fra me e te? Come raccontare il nostro primo incontro nel 1972, alla festa della Madonna di Castello? E la mia emozione quando mi facesti conoscere il “canto a figliola”, che io ritenevo scomparso in Campania, e che, invece, era ancora praticato a Somma Vesuviana nella forma più autentica, religiosa e funzionale? Come descrivere, al di fuori della ricerca scientifica, gli incontri a casa tua con Annabella Rossi, e la cara, silenziosa e amabile presenza di tua moglie Rosa? E quando, con la paranza di Somma, io riuscii a dare a Napoli una testimonianza della vostra aristocratica cultura, al teatrino di Palazzo Reale? E la tua appassionata collaborazione ai sette microsolchi sul campo popolare in Campania, che sono, oggi, un documento preziosissimo e irripetibile?”. Ecco, questa testimonianza di De Simone mette in luce che al fondo degli incontri di Giovanni con esponenti di spicco della cultura antropologica e etnomusicologica internazionale, che lo rendeva un punto di riferimento internazionale e locale (oltre a quelli appena citati, Alan e Anna Lomax, Giovanna Marini, Giorgio Adamo, Peppe Barra, Fausta Vetere e gli altri amici della Nuova Compagnia di Canto Popolare, Antonello Ricci, Roberta Tucci, Salvatore Piscicelli, Francesco De Melis, Ginette Herry e tanti altri), c’era in lui una carica “umana”, attraverso la quale egli - al di là della sua forza espressiva come artista - esprimeva in modo nobile il mondo culturale di cui era parte.
Il video che presento non pretende di esaurire la figura di Giovanni Coffarelli. È come un promemoria nel senso letterale del termine, un modo (minimo) per non perdere la memoria di Giovanni. Lo avevo preparato per la festa conclusiva della Scuola estiva residenziale di antropologia che con Stefano De Matteis teniamo ogni agosto da sette anni e mi è sembrato giusto diffonderlo in questa sede.